È viva
Esco dal parcheggio e giro a destra, nello specchietto retrovisore un cartello verde rassicurante mi conferma che sono entrata e uscita dal posto giusto: il padiglione NO COVID. A fianco campeggia l’altra struttura, con un pannello rosso e la scritta Accesso riservato ai positivi Covid. Me lo lascio alle spalle e seguo la strada che mi illustra il navigatore; anni fa ho impostato la voce maschile, che ora odio, ma per abitudine, e indolenza, non la cambio. Vorrei provare l’opzione femminile. E se poi mi venisse a noia anche lei? Allora, nel dubbio, mi affido all’uomo, che pare sapere il fatto suo - anche se delle volte pretende l’inversione a U con una insistenza tale che sfiora l’insubordinazione. Al semaforo sistemo gli specchietti laterali, mi aggiusto la cintura che tormenta la clavicola sinistra, cerco di fare il punto della situazione, elencando le cose importanti e l’ordine esatto in cui farle: lasciare le scarpe sullo zerbino, la borsa appesa fuori, al sole, togliere i vestiti e tenerli in un sacco a parte, ricordarmi di disinfettare gli occhiali e il cellulare prima di farmi la doccia. Non toccare niente e nessuno.
C’è bassa pressione, i moscerini impazziti si schiantano contro il parabrezza, dai finestrini abbassati sento salire il profumo di terra bagnata, viene da fuori città, qui ancora non piove. Pioverà. Passo sotto la tangenziale, i rom hanno costruito un nuovo campo, nello stesso posto da cui li avevano scacciati qualche mese fa. I panni sventolano al vento tra un pilone di cemento e una roulotte. Sento le loro voci chiaramente, nonostante il ronzio sordo delle auto che ferocemente girano sopra: pioverà. Lo dicono le nuvole basse, gravide e cineree. E l’erba nuova che vuole acqua.
Al semaforo seguente mi passo di nuovo le mani col disinfettante e quando torno a poggiarle sul volante mi pare quasi che le vibrazioni del motore siano un tutt’uno coi miei tremiti interiori, come se suonassero all’unisono un terremoto di tamburi ventricolari ben oliati. Una goccia si allarga sul parabrezza, cui segue la sorella e un’altra ancora. Grosse, pesanti gocce picchiettano sui vetri, sull’asfalto tiepido, sulle rotaie. Il ronzio lontano delle auto, le voci degli uomini, il motore che freme poco prima che scatti il verde, la freccia che indaga come un metronomo: il vento rimescola tutto nella mia testa e mi regala un inatteso concerto di primavera. Allungo la mano fuori dal finestrino, sento la pioggia sulla pelle, è fresca, vera. È viva.