18 settembre
Tornavo da lavoro stanca, con la pedalata svogliata, mentre scendeva la sera. Il sole calava lentamente dietro gli edifici, scavalcava l’orizzonte per farsi inghiottire dal ruggito della tangenziale nel fondo dei centri commerciali, laggiù nella periferia est, nel violento silenzio della sua notte. Pedalavo per le vie di un quartiere popolare, le finestre delle case come bocche spalancate sulla strada, una luce che si accende e il rumore delle stoviglie, la casseruola già sul fuoco, mentre i bambini si fanno il bagno, la vasca piena e lo specchio appannato, chissà se papà.
Chi ritira i panni stesi, chi lancia un richiamo di sotto, in cortile, “è pronto!”, voci che rimbalzano sui caseggiati come civette nella notte. Il vuoto delle anime perse a rincorrere obiettivi futili e irraggiungibili. Il vuoto di chi compra e non ha mai davvero nulla. Eppure quelle luci, dietro le imposte spalancate, che si accendono e sono calde, sono tiepide, che parlano di casa e mura solide e io qui a pedalare con la stanchezza della consapevolezza di non potersi fermare, di non potersi sdraiare e restare immobile a sentire il respiro di un altro essere umano. Eppure quelle luci, così normali, sono ipnotiche e confortanti, e lontane.
Il frigo vuoto, un avocado solitario nella cesta della frutta, poggiato su un tappeto di peli di kiwi. Nemmeno una birra e ancora tutta la tristezza del mondo da sfangare. Afferro un libro e mi butto sul divano, quando mi prende la voglia di averti addosso, come fossi una quindicenne. Dai. Apro il libro, leggo due pagine, mica ho capito cosa c’era scritto, torno indietro e rileggo mentre il mio cervello continua a girare attorno. E Meglio se mi faccio una doccia e preparo l’avocado. Così mi lavo, cercando di pensare ad altro, mi asciugo mi vesto, e nello specchio ci sei tu e le luci calde dietro le finestre, le case degli altri, fatemi entrare, fatemi riposare qui solo qualche minuto. Nel riflesso c’è la tua mano, ma la superficie liscia dello specchio è fredda. L’avocado è acerbo, a conferma che il lusso del momento giusto è qualcosa cui non sono abituata e a cui non potrò mai addomesticarmi. Spengo tutte le luci e resto al buio, sbilenca sul divano, insonne, quando potrei infilare una mano negli slip e far ronzare il disco rotto del piacere. Quando potrei essere autentica, con tutte le mie ferite aperte e esposte.
Resto al buio annegando e negandomi, col pensiero inchiodato al muro, come un crocefisso, e le gambe chiuse e vuote.
Il lampione fuori sulla strada butta un po’ di luce in salotto e mi fissa. Ma esattamente cosa vede? Chissà a cosa pensa durante il turno di notte e chissà se riesce a dormire di giorno col baccano che c’è.