È una brutta giornata, una di quelle che se avessi avuto il dono della chiaroveggenza col cazzo che mi alzavo dal letto. In questo periodo accade spesso che io mi senta pesante. Sono in ritardo per un primo appuntamento e sono parecchio nervosa. Il mio nervosismo dipende in larga misura da quello, e dallo scomodo ritardo in cui verso, anche se sento che ha radici più profonde e sedimentate. In ogni caso, nell’arco del giorno altri fattori hanno concorso ad alimentare il mio malessere con pezzi di carta straccia e flebili soffi -da debole fiamma ora minaccia di divampare in violento incendio: la visione di un’infermiera che armeggia con una pinza sul ventre di mia nonna, soffocare le lacrime e la nausea mentre le tengo la mano improvvisamente così fragile, un bambino strillante sulla metropolitana che ricorda un Apache nell’atto di brandire una lancia contro un viso pallido, un anziano qualunquista che borbottando allude ad una fantomatica invasione di migranti –Ah, ma stanno freschi!- lo fulmino con lo sguardo, non conclude la frase, tanto so già dove sarebbe andato a parare. Manca tanto così che do di matto. Inspiro, espiro. Vedo il mio riflesso nel vetro delle porte della metro: sto una merda. Mi viene in mente Sliding doors, che poi non ho mai capito se è una figata geniale o una stronzata epocale. Questo vagone sembra proprio l’ala sfigata di un museo strambo, ogni passeggero è un’opera d’arte. C’è un titolo per ognuno, sulla mia targhetta è riportato Tutto sommato è andata meglio a Gwyneth Paltrow, cornuta ma almeno senza sto alone di disperazione in volto, chiazze di sudore su camicetta di pizzo, 2019, anonimo.
Le porte si aprono e schizzo fuori come la pallina impazzita del flipper di qualche oratorio di paese. Mi fermo sulle scale mobili. Frugo nella tasca e pesco il cellulare, lo schermo si illumina e appare il tuo nome. -Ti chiami come mio nonno, non te l'ho mai detto? Forse sì, una volta. Magari poi oggi te lo ridico mentre abbasso lo sguardo e giro lo zucchero nel caffè- Rispondo. Con telegrafico dispiacere mi comunichi che a causa dimenticanza di altri impegni inderogabili dovremo rimandare appuntamento stop. Speri che non mi arrabbierò o che non penserò tu sia un coglione stop. Ci tieni a specificare che non è colpa mia stop. E ci mancherebbe testa di cazzo stop.
Mio nonno il telefono non lo sapeva mica usare ma sono certa che avrebbe saputo facilmente fare di meglio. Per quanto riguarda la faccenda della nonna all'ospedale, quella no, non l'avrebbe gestita tranquillamente.
Inspiro -ora ho tutto il tempo che voglio- espiro.
Il volto mi brucia come quella volta in cui mamma mi diede uno schiaffo colpendomi con il palmo della mano sulla guancia sinistra lasciandomi stoica, impassibile -fingevo-, e rincarò la dose assestandomene un altro, sta volta con il dorso, sulla guancia destra. Sono mortificata. Hai fatto scivolare sul tavolo il tuo mucchietto di scuse concise come i giocatori di poker che puntano tutto sul piatto, in maniera misurata, fingendosi spavaldi, magari bluffando.
Me lo prenderò da sola il caffè, anzi, ordinerò un cappuccino e una brioche alla crema e mi farò un paio di baffi di schiuma leggera mentre lancio briciole zuccherate ai piccioni.
Un'ultima rampa di scale mi separa dalla superficie, questa è la fermata della metro più profonda della mia città. Urto una ragazza. I suoi capelli, lucidi e corvini, sono raccolti in un'acconciatura pretenziosa e traballante tenuta insieme da una miriade di misere forcine, sembrano spilli infilzati in una bambola voodoo. Ho sempre avuto una sorta di paura irrazionale verso i riti voodoo, le maledizioni e le macumbe. Un'altra cosa che mi faceva parecchia paura erano le sigarette, l'idea di iniziare a fumare, di esserne dipendente. Mi preoccupavo moltissimo per la salute di mio papà, tabagista da che ho memoria, tant'è che gliele rubavo, spezzavo e buttavo nel wc. Lui si è armato di proverbiale pazienza, e al quarto pacchetto finito nel cesso, ha iniziato a fumare di nascosto. Ora, che cliché, quella che fuma di nascosto sono io.
Un’ultima rampa di scale mobili mi separa dalla superficie. Rituffo la mano nella tasca e agguanto con urgenza le sigarette, ne sfilo una dal pacchetto, l’ultima, e la appoggio con famelica delicatezza tra le labbra socchiuse. Sembrano fatte apposta per ospitarla. Sono quasi in cima alla scala, quando una melodia mi solletica le orecchie e mi ricordo che poco tempo fa è stato collocato un pianoforte tra le scale e l’ascensore. Lo intravedo in tutto il suo immacolato candore: un asiatico, 15 anni al massimo, è intento a suonarlo. Le sue mani sono libellule che planano sulla superficie di uno stagno per dissetarsi, i suoi piedi, infilati in un paio di orribili scarpe fosforescenti, accarezzano i pedali come per lucidarli, i suoi occhi socchiusi, si contraggono e si rilassano, come se ogni nota suonata producesse un riverbero talmente potente da fargli provare dolore. In un moto spontaneo di stupore apro leggermente la bocca -è sufficiente per far cadere la sigaretta, che si adagia perfettamente nel solco creato dagli spuntoni di ferro del gradino in movimento. Sono Cenerentola e la mia scarpetta calza a pennello alla mia acerrima nemica. Non faccio in tempo ad abbassarmi per attuare un disperato salvataggio che quella si disintegra nel meccanismo della rampa. Scala terminata. Mi volto a guardarla, effimera gratificazione ormai andata in frantumi. Accucciandomi sul pavimento, con la speranza che da questa prospettiva possa riscoprirla intera, mi si parano davanti due polpacci robusti fasciati in collant 50 denari color carne e coperti per metà da una gonna nera con una stampa antiquata di limoni giallo acceso. Sollevo lo sguardo. Una signora dal piglio affabile e la carnagione olivastra mi sorride dall’alto in basso, e con lei sorride anche il bitorzolo che fa capolino dal suo mento –Doveva andare accussì signorina, e che è na traggedia? –esclama in marcato accento meridionale.
Comico? Tragicomico? Assurdo? De Chirico? Non lo so. Però mi scioglie la faccia in una risata delirante, come la saliva fa con il Brioschi. Quando finalmente riesco a ricompormi peso sei volte in meno. La Luna è il luogo dove si raccolgono tutte le cose perdute: ho recuperato la mia leggerezza, ora la porto a casa.
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