Questa mattina sono dovuta andare dall’ottico a ritirare delle lenti nuove per gli occhiali. Negli ultimi giorni ho passato tanto tempo davanti al computer e credo di aver sforzato troppo la vista. A un certo punto non riuscivo più a guardare lo schermo, ma volevo sapere come andava a finire la quarta stagione de La casa de papel e quindi ho ascoltato le ultime tre puntate con l’audio descrizione per i non vedenti, in spagnolo. Alternavo momenti in cui ridevo perché non sono abituata a sentire la voce narrante che descrive ogni spostamento dei personaggi a momenti in cui piangevo perché succedevano cose sconvolgenti e immaginare le scene nella mia testa le rendeva ancora più reali.
In ogni caso, questa mattina sono uscita. È stato strano perché era da parecchio che non scendevo all’aria aperta. Mi ero immaginata che sarebbe stato un momento bellissimo, ma in realtà siamo a inizio Aprile e qui a Dubai ci sono già 35 gradi. Fa un caldo infernale e l’aria ti viene addosso neanche fossi dal parrucchiere a farti la piega. Non è la temperatura ideale per camminare per strada con le mani appiccicate dentro i guanti di lattice e il viso coperto da una mascherina protettiva. In più, mi dispiace ammetterlo, ma uscire all’aria aperta dopo tanto tempo mi ha fatto venire in mente il giorno in cui mi hanno dimessa dall’ospedale. Era un mese che stavo chiusa pressoché nella stessa stanza, e, quando sono uscita, ho pensato “Dio, che caldo!”
Era fine Luglio, mi trovavo fuori da un ospedale vicino al deserto di Abu Dhabi e non sono riuscita a pensare ad altro, anche perché non vedevo l’ora di tornare a casa. In Italia, intendo.
L’ottico si trova dentro il Dubai Mall, che è il centro commerciale più grande del mondo, quindi ora è il posto con più negozi chiusi del mondo: sono rimaste operative solo le farmacie, il supermercato e, appunto, l’ottico. Il Dubai Mall tutto chiuso fa molta impressione, immagino che chi ci lavora dentro l’avesse già visto tante volte così prima dell’orario di apertura, ma io no. Ogni volta era pieno di gente e tutte le vetrine dei negozi erano illuminate, le serrande sollevate e c’era un via vai continuo di persone di tante nazionalità diverse. Ora invece i grandi corridoi sono deserti, le vetrate dei negozi oscurate e regna un inquietante silenzio.
Prima di andare a ritirare le lenti, ho pensato di fermarmi a comprare qualcosa al supermercato, l’unico posto dove s’intravedeva un minimo di movimento, dato da una decina di persone intente a fare la spesa. All’ingresso una signora di nazionalità filippina con i capelli scuri e i lineamenti delicati, prima di lasciarmi entrare, mi ha ricordato con tono deciso l’importanza di mantenere la distanza di sicurezza con le altre persone.
Ora vi chiedo di immaginare questa scena, come ho fatto io con le ultime tre puntate de La casa de papel:
Supermercato a Dubai ai tempi del coronavirus. Io indosso la mia solita mascherina azzurra e i guanti, ho i capelli raccolti in una coda fatta di fretta, sono struccata e ho gli occhi stanchi. Mi trovo nel reparto frutta e sto per afferrare un sacchetto di plastica e riempirlo di albicocche quando, tra le casse di zucchine e di peperoni, scorgo il mio ex.
La prima cosa che vorrei fare è tuffarmi tra le mele e le banane e scomparire, quindi d’istinto mi piego sulle ginocchia e, dal mio nuovo nascondiglio, provo ad accettarmi che sia davvero lui.
È alto, è bello. Cazzo, è lui.
Ha addosso un paio di scarpe da ginnastica bianche, dei jeans leggermente slavati e una maglietta a mezze maniche scura.
Vorrei scappare nella direzione opposta senza che mi veda, ma allo stesso tempo vorrei corrergli incontro e abbracciarlo. Nel dubbio rimango immobile, anche perché mi tremano le gambe e non riesco a muovere un passo.
Ci siamo lasciati più di due anni fa. Io, dopo aver fatto quel brutto incidente in macchina, volevo andarmene da Dubai e non tornare più. Lui, invece, aveva da poco cambiato lavoro e la sua vita era qui.
L’ultima volta che l’ho visto è stato il Settembre del 2017 quando gli dissi che la nostra relazione non aveva un futuro. Non ricordo molto di quella sera, a parte il modo in cui mi ha guardato, quello non l’ho mai dimenticato. Sembrava mi volesse supplicare di restare ma, allo stesso tempo, avesse capito che non avevo altra scelta.
Invece ora sono accucciata nel reparto frutta di un supermercato di Dubai, con una mascherina e dei guanti addosso, e mi viene da piangere e anche da ridere.
È tutto talmente assurdo che non so neanche più cosa pensare. Mi alzo, vorrei avvicinarmi a lui ma non mi sembra il caso, le parole della signora filippina mi ricordano di rispettare le distanze di sicurezza, e credo che qualsiasi psicologa mi darebbe lo stesso consiglio.
Mi allontano dal reparto frutta e verdura e mi dirigo verso le casse, facendo il giro largo per il banco pesce in modo che lui non mi possa vedere. Faccio una piccola deviazione nel corridoio della pasta per comprare degli spaghetti solo che, quando mi giro per cercarli tra le fettuccine e le lasagne, incrocio il suo sguardo nascosto da una mascherina simile alla mia. È sorpreso e imbarazzato almeno quanto me. Ringrazio che almeno le mie emozioni siano in parte nascoste da quel pezzo di stoffa azzurro che mi copre mezza faccia. In fondo è come se fossimo vestiti per una festa di carnevale e così mi sento meno vulnerabile, mi sembra di essere in una di quelle scene da film in cui due personaggi si ritrovano nel bel mezzo di un ballo in maschera e all’inizio fanno fatica a riconoscersi.
“Ehm... ciao!”-breve pausa- “come stai?”
Gli chiedo parlando in inglese, un po’ incerta che sia una domanda appropriata, ma non mi viene in mente proprio nient’altro.
“Tutto bene, avevo bisogno di fare un po’ di spesa”.
Mi risponde. Noto che la sua voce non è cambiata e sento una leggera fitta all’altezza dello stomaco. Cerco di deglutire ma ho la bocca secca e senza saliva, come quando dal dentista te la aspirano tutta prima di controllare se hai carie.
Rompo quel silenzio imbarazzante con la prima cosa che mi viene in mente:
“E cosa ci fai nel reparto pasta, non sei più celiaco?”
Sofia! Sei un’idiota. Tu. Sei. Idiota. Che cavolo di domanda è? Ora penserà che lo stessi evitando, ma poi, si può smettere di essere celiaci? Non lo sai. E comunque, esiste la pasta senza glutine, idiota.
Lui interrompe i miei pensieri con un accenno di sorriso, almeno questo è quello che riesco a intuire dall’espressione dei suoi occhi. Poi, mi risponde: “Sono qui per la pasta senza glutine”.
“Okay, bene... Spero comunque tutto bene”.
“Sì...”- Altra breve pausa che sappiamo entrambi che sta a significare: sto passando la quarantena con la mia ragazza ma questo Immagino tu lo sappia già da Instagram- tu come stai?”
Ma come vuoi che stia?! Mi sono sempre immaginata come sarebbe stato incontrarti di nuovo e come mi sarei sentita, e ultimamente mi sento da schifo. Sono lontana da casa ma tu ora sei qui davanti a me. E ieri almeno avevo dei bei capelli, e oggi no. E ti vorrei abbracciare perché non ho mai smesso di volerti bene, o forse perché ho terribilmente bisogno di un abbraccio, o possibilmente per entrambe queste ragioni. Sono due giorni che rido e piango senza motivo. Ecco come sto.
E invece: “Tutto bene anch’io”- rispondo sforzandomi di sorridere, e credo di riuscirci.
“Ecco la mia pasta senza glutine” - dice prendendo una scatola a meno di mezzo metro da me - “okay, io vado verso la cassa...”- continua ritraendo il braccio.
“Va bene, no, io devo cercare...altre cose di là”- gli rispondo facendo cenno con l’indice verso la direzione opposta. Il fatto che si sia avvicinato per un momento e poi allontanato di nuovo mi ha reso tutto d’un tratto molto triste.
“Okay, ciao, prenditi cura di te”. Mi dice.
“Sì, anche tu”
Almeno non c’è l’imbarazzo di non sapere come salutarsi: niente baci sulla guancia, niente strette di mano, nessun contatto, solo il mio sguardo che si distoglie dai suoi occhi.
Mi giro piano e mi allontano senza voltarmi, mi viene in mente l’ultima volta che c’eravamo visti. Era il settembre del 2017 ed eravamo in una zona di Dubai vicino al porto, in un locale francese molto carino con sottofondo della musica melodica. Non mi ricordo quasi nulla di quella sera, ma non ho mai dimenticato che lui a un certo punto mi ha detto che ero bellissima, ed è stata la prima volta che un complimento mi si è infilzato nel cuore come un piccolo spillo luccicante. Non volevo fargli del male, volevo solo lasciare Dubai. Non riesco a ricordare come ci siamo salutati quella sera, credo senza nessun bacio, senza nessun abbraccio, credo solo con un “ciao”.
Non avevo idea di cosa sarebbe successo da quel momento in poi. Se ci penso adesso, mi rendo conto che sono successe tantissime cose belle: sono tornata a casa, mi sono ripresa dall’incidente, ho ricominciato a camminare e muovere la mano, ho vissuto a Barcellona, ho conosciuto delle persone incredibili e ho fatto delle esperienze meravigliose. Sono stata bene, anche se non mi sono più innamorata. Non sarei mai riuscita a restare a Dubai dopo quello che era successo, avevo bisogno di andarmene. Ma allora perché quando penso a lui sono ancora così triste? E cosa speravo di ottenere tornando qui?
Mi ero illusa di trovare le risposte nel reparto frutta e verdura di un supermercato di Dubai nel bel mezzo di una pandemia, ma la verità è che oggi ho solo immaginato di averti incontrato. Ho visto un tizio che ti assomigliava parecchio però, e così ho pensato a cosa ci saremmo detti se ci fossimo davvero visti e non mi è piaciuto. Non credo che leggerai mai questo racconto, e forse è meglio così; già in italiano non è un granché, non voglio neanche pensare come verrebbe dopo l’intervento di Google Traduttore.
Però, ecco, se un giorno per caso ti dovesse capitare di leggerlo, mi chiedevo, prima che il mondo finisca, ti va se ci abbracciamo?