Mi guardo
e penso che così,
mai mi son guardata.
Mi guardo
perché in questi anni
me ne sono scordata.
Gli occhi fissi
sul qualsiasi cosa intorno,
al di fuori
di altri.
Mi guardo
allo specchio
un riflesso infinito,
tante io
un susseguirsi ordinato
ferme
ad ogni crocevia passato.
Le guardo,
tutte con una mano
sulla spalla della me successiva
a supporto di quel passo in più,
e mi sorridono
soddisfatte dello sforzo
che ci ha fatto avanzare.
Prima guardavo un riflesso solo:
ammassate sulle mie spalle,
le ginocchia tremanti,
alcune avvinghiate in vita,
per non cadere dimenticate,
altre al collo
tutte lì a farmi crollare
scomparire
indefinita
passata.
Mi guardo
iridi di zucchero grezzo,
i miei occhi
l’unico filtro
sui prospetti della mia vita in costruzione
Mi guardo,
occhiaie arrossate:
chissà se
più dalla malinconia
che porta il mare di notte
o dall’insonnia
ormai gradita,
quando con le ultime stelle
ci godiamo l’aurora?
Mi guardo
nuda
quelle enormi incongruenze
non le trovo più;
ho fatto amicizia
con le curve
gli spigoli
le grinze
i solchi.
Mi guardo,
spoglia di maschere,
vestita di carattere
seguendo i miei sensi,
non la lingua
alle mie spalle
né il dito contro.
Mi guardo
mi sento reale
e mi ringrazio
ogni mattina
ogni sera
per quel coraggio
di essermi dichiarata ai miei sogni.
Loro ricambiano
io non vago più
tra le nebbie,
che scambiavo per nuvole.
Mi guardo,
mi commuovo:
non cercare più scuse
è la cima che ho raggiunto
superando quelle di
paragoni, frustrazioni, invidia e pigrizia
in una skyrace
che mi ha insegnato
come la sincerità
faccia respirare
e la determinazione
distanzi la resa.
Sono allenata
viaggio leggera
ma non inseguo più orchi
perché il tesoro
è ogni passo
che scelgo
che guido
che guardo.