Ho visto un angelo di Dio cantare a un funerale.
Prima di allora non mi era mai successo di incontrarne uno, men che meno dopo vent’anni di onorato ateismo militante. Ma tant’è. Era chiomato d'oro e occhi-fanali-in-una-notte-con-piovasco e guance porporine di lacrime asciugate, un angelo di ottima fattura ultraterrena, certificata, di bella presenza e in abiti civili, con le ali legate e avvoltolate sotto il cappotto rigonfio, l’aureola nascosta in tasca e il potenziometro della luce-propria al minimo. Giusto per non sfavillare troppo nel buio della chiesa e dare nell’occhio. Per evitare mormorii fra tutti i presenti e, nel peggiore dei casi, richiamare l’attenzione della televisione e della stampa locale, che su queste cose ci ricama con sfrontatezza: “ANGELO DI DIO IN BORGHESE: DOVE ANDREMO A FINIRE?”. L’ho intravisto tra la folla, immerso com’era nei pensieri torvi di un giorno da cani, col cielo terso fuori dalla chiesa a rendere il conflitto ancora più aspro. I funerali col Sole sono una guerra.
Ho visto un angelo di Dio salire sull’ambone col volto buio, alla destra del sacerdote, ignorando la cassa di legno, i candelabri, l’incenso, i boccioli, il sacerdote: me, te, tutti, tutti quanti, il mondo intero, quel giorno di merda, ignorando ogni cosa viva e ogni cosa morta, ignorando l’universo infinito, i suoi arcani e i meccanismi impietosi. Ho visto quell’angelo assorbire ogni vibrazione dell’aria, il malumore degli astanti e l’ho visto esalare a pieni polmoni uno sbuffo d’amore. Ho stretto gli occhi per non piangere e l’ho sentito intonare Dream a little dream of me di Doris Day.
Ho visto un angelo di Dio cantare a un funerale.
Quello di sua madre.
Che sussurrerà per sempre “Bambina mia” nella cassettiera dell’anima
un attimo prima di spegnere la luce.
E “Buonanotte, vedrai che andrà bene”.
Buona.