“Ciao Anastasia! E’ stato un piacere rivederti, buona serata!”
“Salve Vittorio, buona serata a lei!”
Nonostante la simpatia e il, forse, reciproco affetto, non riesco a dare del tu al signor Vittorio. I suoi sono i rari sorrisi sinceri che ricevo da qualche mese a questa parte ma, nonostante ciò, gli insegnamenti di mia madre sono fin troppo radicati in me. Neppur volendo farle dispetto riuscirei a non dare del lei a qualcuno che non è altro che il proprietario del negozio di specchi tre fermate prima di arrivare a casa mia. Dopo la prima volta, passo spesso di qui. A volte preparo dei biscotti con Dominga e vengo a portarli anche a lui. Dubito che ne mangi ancora, di quelli buoni fatti in casa, dopo la morte di sua moglie. Vittorio è un anziano signore che vende specchi, per lo più fatti da lui. Ho pensato di dare i miei soldi a lui piuttosto che al mostro Amazon. Fu così gentile, dopo il primo specchio, che le due volte successive ero quasi contenta di averli rotti o regalati.
Questo è il quarto specchio che compro. In quello che i miei avevano messo nella mia cabina armadio credevo ci fosse qualcosa di sbagliato, ecco perché sono andata da lui. Lo specchio mi deformava e mi faceva sembrare un’altra persona. Il primo specchio di Vittorio era sbagliato come quello che avevo prima e l’ho distrutto nel giro di una settimana. Il secondo, invece, è durato un po’ di più, cercavo di farmi forza e pensare che fosse tutto nella mia testa. Quando invitai Giulia a casa lei se ne innamorò così decisi di regalarglielo, mi era sembrato il modo più rapido per sbarazzarmene. Il terzo non l’ho rotto, non volevo che Dominga si mettesse di nuovo a pulire, soprattutto dopo l’ultima volta in cui si tagliò tutte le mani. Quindi eccomi qui. Non so che fine farà quest’altro specchio, ma credo di aver capito che non è questo vetro riflettente il problema.
Apro il cancello, Dominga è fuori che annaffia i fiori, la saluto e le chiedo chi c’è in casa. Dice che i miei sono rientrati da poco. Ringrazio e mi allontano, ma la vedo fissarmi finché non entro e mi chiudo la porta alle spalle. Nessuno mi vede, non vedo nessuno. Entro in camera e sistemo il nuovo specchio, mi osservo e lo giro verso il muro. Sono stanca.
Leggo un libro credendo di riuscire ad aspettare la cena ma mi addormento poco dopo. Nessuno è venuto a chiamarmi, forse sono ancora a tavola. E infatti sono lì, che non parlano. Lei legge, lui sicuramente gioca al cellulare, o rimorchia delle mie coetanee. Non so se andare o meno, ma Dominga mi ha già notata e mi lancia un’occhiataccia.
“Scusate il ritardo, mi sono addormentata mentre leggevo”
Mi risponde mio padre, oggi è lui il più socievole. Dice di non preoccuparmi, che hanno iniziato da poco. Mia madre mi sorride, poi riprende a leggere, le chiedo cosa.
“È un romanzo serbo, niente che tu possa conoscere”
Bene, grazie mamma. Dominga si avvicina e mi porge il piatto, noto che la porzione è ridotta e le sorrido. Pollo alla cenere, una sua specialità, con paté di olive taggiasche, latte e mascarpone al gorgonzola. Mi ha insegnato a cucinarlo qualche anno fa, mia mamma neppure sa dove trovare le pentole.
Si comincia. Stasera sarà facile, sono troppo presi e probabilmente fra di loro hanno litigato. Inizio a tagliuzzare il cibo e bevo dell’acqua. Papà si alza dopo poco, dice che ha delle questioni urgenti da sbrigare e si allontana seguito dallo sguardo di mia madre. Chiude il libro e mi chiede della giornata, se i soldi per lo shopping che mi aveva dato fossero stati sufficienti. Le dico che sì, era andato tutto bene, grazie. Si alza strisciando rumorosamente la sedia per terra, mi poggia un bacio sulla fronte e va via. Il facile è superato, ora c’è da andare oltre Dominga. Ormai credo che lei se ne sia accorta, non so come e non so che diavolo le importi, ma lo sa. Non capisco perché se lo tenga per sé, dubito che abbia detto qualcosa ai miei.
Possiamo far coincidere l’inizio di tutto con il primo specchio acquistato da Vittorio. Sono passati quasi tre mesi da allora. Non mangio, cerco di tenermi occupata il più possibile. All’inizio le lezioni di cucina di Dominga riuscivo a seguirle, ma da circa tre settimane ho smesso. Stavamo preparando del riso con pollo al curry, era pomeriggio e avevo pensato di portarne un po’ al signore degli specchi. All’inizio riuscii a nascondere il conato di vomito ma non ho resistito abbastanza a lungo per arrivare fino al bagno. È in quel momento che credo Dominga abbia compreso fino in fondo la situazione. Se prima erano solo delle supposizioni, in quel momento tutto era diventato reale. Per una settimana non mi ha rivolto la parola, se non in presenza dei miei ignari genitori. Dopo ha iniziato a lasciarmi un cioccolatino sotto il cuscino ogni volta che metteva in ordine la mia stanza e darmi porzioni molto ridotte a tavola. Voleva che i miei non si accorgessero di nulla ma allo stesso tempo riuscire a farmi mangiare. Un giorno l’ho trovata nello studio di mio padre che guardava il suo computer. Era già capitato altre volte, fu grazie a lei che avevo scoperto delle avventure extraconiugali di mio padre, lei che non mi nascondeva niente e che allo stesso tempo voleva proteggermi da tutto.
“Mia signorina, io la proteggo, ma le insegno come combattere, non le metterò mai i paraocchi”.
Mi allontanai da lei il più possibile dopo quel pomeriggio di vomito, scappai e mi misi a correre. Arrivai dall’altra parte della città esausta, senza più fiato, con i piedi che mi imploravano di fermarmi e il cuore che scoppiava. Tornai indietro e mi fermai in un bar per chiedere un bicchiere d’acqua. Dissero che dovevo necessariamente acquistare qualcosa per averlo così chiesi un croissant vuoto. Presi il mio bicchiere d’acqua e spezzettai il dolce per le anatre nel parco lì di fronte. Era quasi sera, una di quelle sere quasi estive, con il vento leggero che sembra accarezzarti e le prime zanzare a infastidirti. Non si accorsero che arrivai tardi, erano già in camera e quando incrociai mia mamma nel corridoio le dissi che ero stata da un’amica.
L’unica persona dopo Dominga che iniziò a sospettare fu il mio professore di ginnastica. Mi disse che se non avessi ripreso ad allenarmi mi avrebbe fatta chiamare in presidenza insieme ai miei genitori. Non che la cosa mi preoccupasse più di tanto. Era facile sviare le telefonate che arrivavano a casa per loro, o trovare delle scuse valide. Cercai di farlo contento e quando c’erano le sue ore mangiavo due mele al posto di una. Non resistevo molto, ma facevo il possibile per dimostrargli il mio impegno. Durante quelle ore anche Francis venne a parlarmi. Non ci eravamo più visti dopo che avevo rotto il primo specchio e ne avevo parlato con lui. Credevo di potermi fidare, di potermi aprire con lui. Mi disse che non riusciva più a fare l’amore con me, che non ero più io prima di chiudersi la porta alle spalle e lasciarmi sul letto con lo specchio distrutto vicino al comodino. Ero seduta per terra, nella palestra della scuola, quando mi si avvicinò dopo tanto tempo. Mi tremavano le mani. Si inginocchiò e mi spostò dei capelli che mi coprivano un occhio.
“Credevo che andando via tu potessi tornare sulla strada giusta, capire il problema o per lo meno cercare di superarlo per tornare da me. Mi dispiace che sia andata così, cercavo di aiutarti ma ovviamente mi sbagliavo. Cercami, se hai bisogno.” E andò via, come l’ultima volta.
Il giorno dopo non toccai cibo, non mi avvicinai neppure alla cucina, a Dominga, alla dispensa, al pensiero di dover ingerire qualcosa.
La scuola, cinque specchi dopo, è finita. Francis è felice mentre gioca a racchettoni con gli amici, lo vedo dalle foto che condivide. A volte se mi incontra mi sorride amareggiato, come se fosse colpa sua. Se solo potesse capire. Mio padre ha una nuova avventura, si chiama Cecilia, è una gran bella ragazza, somiglia a mia madre ma credo che legga molto meno di lei. Mia madre sta rileggendo Anna Karenina, dice che questa è la settima volta, che ancora alcune parti non le sono chiare. Se si concentrasse su di me tanto quanto si concentra sui suoi libri…
Dominga è partita questa mattina. Non mi ha salutata ma ha lasciato il solito cioccolatino. Ne ho trovato un altro poco fa, ai piedi dello specchio, accompagnato da una lettera:
Mia fanciulla,
è tempo per me di andare, godere del mare e della salsedine, della mia terra e del mio sole. La porterò con me con la speranza di ritrovare ciò che lei era un tempo. Un uragano di energie e desideri. Non creda mai che non mi accorga di cosa le accade. Dominga ha occhi ovunque, come telecamere, a trecentosessanta gradi. Pensi a ciò che perde. Pensi che una semplice onda potrebbe abbatterla, che una piuma potrebbe spezzarle un osso, che non posso più intrecciarle i capelli per quanti pochi ne sono rimasti. Non sono nessuno per scriverle, per dirle cosa sia meglio per lei, né posso dirle come affrontare la situazione. Le prometto la mia fedeltà, ma lei vada incontro alla vita, non la disdegni. Ci sono così tante cose belle a questo mondo, così tante cose belle nella sua vita, che trovo assurdo il fatto che lei abbia deciso di non approfittare di questa meravigliosa opportunità che le è stata data.
Viva, mia signorina. Viva con il cuore pieno.
Non si faccia rinchiudere in una di quelle comunità per figli viziati di ricconi. Potrebbe finire così, sa bene anche lei di essere un’ottima candidata per quel genere di posti. Ecco perché non ho parlato con loro. Non la aiuterebbero. La confinerebbero in un posto credendo di aiutarla. Lei è un animo libero, indipendente e troppo intelligente per permettere che le facciano questo. Lì riuscirebbe ad ingannare tutti, è troppo astuta. Ecco perché so che può farcela, perché so che si sente in gabbia, ha delle catene che la tengono troppo vicina allo specchio e troppo lontana dalla cucina. Non sono qui per dirle che possiamo tagliarle. Sono qui per dirle che possiamo aggiungere degli anelli, per far sì che lei si veda più lontana dallo specchio e possa fare qualche passo verso la cucina. La vita ti dà le catene, dimenarsi fino a sanguinare non servirà a spezzarle. Respiri, signorina, respiri profondi. Prenda più aria, più vita che può. Costruiamo altri anelli, allunghiamo le catene per raggiungere le tenaglie. Il lavoro è duro, mi creda. Lungo. Avrà bisogno di aiuto e di molta forza, ma quest’ultimo punto è quello che meno mi spaventa. In quel minuscolo corpicino che lei ora ha è racchiusa tanta forza, è stata nascosta, sotterrata, ma lei non faccia pressione, non ci butti sopra del cemento. Permetta, a quella forza che lei ora cerca di sopprimere, di rinascere. La coltivi, ci pianti dei semi. Attenda che rinasca. Aspetti, i cambiamenti non avvengono in una sola notte. Allo sbocciare di nuovi fiori sboccerà di nuovo anche lei, mia signorina. Le mie mani hanno ancora desiderio di intrecciarle i capelli.
Le mando il mio affetto, da lontano, ne dia un po’ al signor Vittorio. E’ lui che mi ha aiutato a scrivere questa lettera nel miglior italiano possibile.
Sempre sua, Dominga.
Scarto il cioccolatino con le lacrime agli occhi e ne lecco un po’.