Ha fatto ottant’anni quest’anno Paolo.
Come ogni estate, lo incontro un sabato mattina ai bagni, verso le 11. Sono appena arrivata, lui sta tornando a casa. Camicia azzurrina, rigorosamente a mezze maniche, costume in tinta e la settimana enigmistica sotto braccio. Lo saluto, mi sorride.
Ha, da sempre, il sorriso buono tipico di quei nonni che non si arrabbiano mai. Non l’ho mai visto sorridere mostrando i denti in diciotto anni, per quanto ne so potrebbe persino non averli, anche se, a pensarci bene, la moglie, imbellettata e schiava dell’apparire, non glielo avrebbe mai permesso.
Paolo somiglia a una figura mitologica: secondo marito della moglie, ha al suo capezzale i due figli del precedente matrimonio di lei, con altrettanti nipoti, una figlia avuta da lei e una dal suo precedente matrimonio. Praticamente una tribù.
Lui, che è di indole buona, non dice mai di no a nessuno. Elargisce denaro a tutti, denaro che, in qualche modo, sembra riuscire a mettere una pezza ogni volta che l’equilibro familiare si incrina.
Paolo vive, da cinquant’anni a questa parte, della felicità riflessa di figli e nipoti.
All’interno della narrazione del suo personale dramma borghese, lui ha deciso, tempo fa, di annullarsi.
Mentre le voci di tutti si sovrappongono “una famiglia chiassosa”- dice la vicina a ogni riunione di condominio- la sua ha semplicemente iniziato a tacere.
Questo silenzio non ha destato alcuno scompiglio in casa. Ciascuno continua la sua corsa, per poi manifestarsi nel momento del bisogno in preda a una sorta di sindrome del figliol prodigo.
“Marco ha rotto la macchina, di nuovo”. Paolo si alza della poltrona blu, firma un assegno, si risiede.
“Nonno ho avuto un problema con quelle scarpe da rivendere, avrei bisogno di una mano… ma te li ridò eh, lo sai, non scherziamo”. Paolo si alza, telefona alla banca, fa un giroconto, si risiede.
Negli ultimi anni, ha avuto dei seri problemi di salute: una vita a lavorare, ad occuparsi di tutto e di tutti, il cuore non ne voleva più sapere, si era stufato. Minacciava di fermarsi: troppo lavoro, adesso basta.
Ma Paolo è sempre stato un tipo convincente, mai aggressivo, ha sempre ottenuto tutto con la diplomazia. E anche questa volta ci è riuscito. Ogni tanto, in quei giorni in bilico, parlava a qualcuno, la sera. Chi fosse l’interlocutore, nella sua testa, non è facile a dirsi.
“Mi serve tempo, ancora un po’. Come faccio a lasciarli qua, da soli non ce la farebbero mai. Sì lo so, è colpa mia, li ho abituati io così, ma non si può tornare indietro. Dammi ancora un po’ di tempo, li devo prima sistemare tutti.”
Alla fine, l’interlocutore misterioso, dio, il fato, insomma qualcuno sembra l’abbia ascoltato.
Nessuno ci credeva, non gli davano alcuna chance, ma lui ce l’ha fatta.
Allora ha provato davvero a sistemare tutti: l’università, il lavoro, la scuola. Voleva solo vederli ciascuno sul suo personale binario, pronti a partire. Voleva che riuscissero a togliere le rotelle alla bicicletta prima che arrivasse il momento in cui non avrebbe più potuto tenerli dal sellino.
Per un po’ sembrava che il suo piano stesse funzionando. Il maggiore dei nipoti iscritto in Cattolica, la madre che forse aveva finalmente trovato un uomo decente. Tutti gli altri, in qualche modo li seguivano: promozione senza debiti, rinnovo del contratto.
Paolo, dalla visuale privilegiata della grande finestra del suo appartamento di Milano, seduto sulla poltrona blu, vede passare i mesi. Un’estate, un’altra.
A poco a poco la fattura però svanisce. Figli e nipoti si perdono, escono dai sentieri prestabiliti. L’equilibrio si incrina di nuovo, ciascuno sembra andare per la sua strada, con la convinzione bambina di aver capito tutto. Quando le cose si mettono male, tornano tutti dal nonno, che in qualche modo, con il suo cuore grande ma debole, rimette insieme i pezzi.
Giugno, puntuale trasferimento in riviera.
Sono seduta sul lettino, sua moglie, amica storica di mia nonna, mi vede mentre arriva con gli occhiali grossi da diva anni ottanta.
“Hai visto il Paolo?”
“Stava tornando su, sarà stato dieci minuti fa”
Un’ora, due, tre. Poi una settimana, un mese.
Non si è più visto. Smaterializzato.
Aveva le parole crociate con sé, quella mattina. Bartezzaghi, 22 orizzontale: “ ne hanno poco i cardiopatici” Senza pensarci “tempo”.
Non ci stava, era “potassio”. Ma ormai non importava più.