Che bella, che balla
Ho perso un po’ il metro, ultimamente. Non trovo bene la misura delle cose attorno, dopo che per una vita non ho trovato la misura dentro di me.
Non trovo bene la misura ad un eccesso di pazienza, alle parole misurate, all’aspetto pedagogico che il mio ruolo…
Ho perso un po’ il metro, ultimamente, del mio ruolo. C’è questo volume di cose da trattare, da capire, da approfondire, su cui interrogarsi e io ho perso il metro. Non tanto, un po’, quanto basta.
Perdendo il metro quanto basta ho visto da vicino taxisti milanesi parlare di migranti che muoiono in mare, commentatori di Facebook che non trovano nulla di sbagliato in magliette che incitano allo stupro, parenti arrabbiati non si capisce come mai. Se ti siedi un attimo ti dirò come mai: i soldi, le aspettative, il gioco al ribasso.
Perdo il metro e il mondo prende misure diverse: mi chiede di ricollocarmi e ripensarmi senza quell’ansia sociale del ruolo che.
Quel ruolo.
Ho perso il metro delle cose e del ruolo. Perché, un ruolo, beh. C’è un ruolo. Possiamo avere un ruolo, di certo abbiamo un ruolo, siamo attori nello spazio ma questo spazio non c’è più: sparito. Hanno tolto lo spazio alle vite e le vite, allora, devono guardarsi attorno in cerca di quello che hanno perso e di quello che arriverà. Se non c’è lo spazio non ci saranno neanche le mappe per capirlo, questo nuovo ammanco di spazio. Fisher dice che è un problema quello che non è ancora arrivato sommato a quello che abbiamo perso. L’interstizio di tempo chiamato vita.
Cerco di spiegare alcune cose a Daniela, seduti da Romano, non distanti da casa. L’astio, il livore, un pozzo di rabbia molto maggiore di quella che covano la mia generazione e quelle più giovani di me. Chi è questa rabbia? Che faccia ha una vita che doveva andare diversamente? Quanta consapevolezza c’è delle storture e delle pieghe inaspettate? Dei lutti, dei traumi e dei mancati arrivi? Sono tutti fantasmi dell’esistenza.
Perso il metro, quanto basta, mi trovo in cerca di una linea che metta assieme i punti e ne descriva almeno le vicinanze e le lontananze. Non per qualità ma per quantità. Una misura sindacata, intermediata, condivisa.
Ieri, dal palco di un festival radiofonico, la presentatrice ha chiesto se c’era qualcuno di destra. Così avevo capito io e mi era sembrato plausibile, perché eravamo a Mestre. Infatti chiedeva se c’era qualcuno di Mestre. Durante il live un bambino ha fatto il gesto del cincin a Lodo con una lattina di té. Era veneto e, se non lo era, lo sarebbe diventato. Per me, senza metro quel tanto che basta, era tutto quanto una grande linea che partiva da molto molto molto lontano.
Poi Checco ha detto che secondo lui Massimo Pericolo è uno dei migliori e io mi sono sentito di dargli ragione perché conta tutto, se conta tutto. Non si può dire che “non conta”. Perché a me fa più spettro depressivo
Non mi va di andare al mare
Non mi va, la Polynesia
Non mi va di fare le cose soltanto per fare
Fantasticare
E forse è per questo che Flavio-Gazzelle mi sembra una persona in gamba: perché dice una cosa che io non so accettare. E siccome non la voglio accettare, perché ci sono dei limiti, mi metto dall’altra parte di questo limite. Penso che sia necessario fare le cose così tanto per fare, senza un metro, senza uno scopo e senza la parola d’ordine del capitalismo depressivo: senza un utile. Perché va, per edonismo.
“Figa, che bella
la figa che balla”