Cosa mi manca ora?
Esattamente le stesse cose che mi mancavano prima.
Che cosa mi fa sorridere, incazzare, commuovere, dormire?
Te l’ho detto, le stesse cose.
Non intontirmi con le stronzate sul saper stare da sola, sul ritrovare se stessi. Sono stata seduta in una bettola a sette ore di fuso orario da qui, con il telefono in mano aspettando un messaggio, un sorriso, che non è mai arrivato, ma io c’ero. Ho mangiato una fetta di torta di carote immaginando mia madre chiedermi “è buona, tesoro?”, sfortunatamente lei è morta, ma io c’ero. Mille altre volte ho avuto voglia di mettermi un vestito a fiori in pieno inverno, di fare la verticale con la schiena rotta, di vincere una lotta, di ballare cumbia fino a svenire ubriaca di gin tonic, di parlare e essere capita, di ridere per una cazzata inutile mentre tutti erano seri. Sono sempre stata qui, con me, in compagnia di tutto quello che non ho mai potuto cambiare. Cosa vuoi che mi turbi del “sacrificio” di mettermi sempre gli stessi due jeans, alternati alla tuta, di guardare annoiata l’ennesimo film, di battere millecinquecento caratteri, di scrivere progetti che chissà se mai si realizzeranno? Niente, non è questo il punto. Il mondo è più grande di me, del mio ego che spinge per tornare a sognare. Ci sarà sempre una questione più importante. Io farò quello che posso, senza inventarmi strategie del cazzo per passare il tempo. Non farò la fila per comprare del lievito, per impastare un pane che non avrei mangiato nemmeno prima, non mi raccoglierò i capelli per sembrare più carina nello schermo, non sposterò il tavolo del salotto per fare esercizi rassoda culo in sette giorni, non ascolterò niente di diverso da ciò che avrei ascoltato ieri.
Aspetto. Sto zitta quando non ho niente da dire, parlo quando mi va di dire qualcosa, anche se non sei d’accordo con me. Coltivo i miei affetti come ho sempre fatto.
Sì, mi manca ancora tutto ciò che mi mancava un mese fa.
Continuo a modellare le mie sciocche, banali, assordanti mancanze come plastilina anche ora che si son fatte dure e secche come cemento. Accendo lo stereo per ogni sforzo caduto nel vuoto, mi lavo la faccia per ogni errore, polemizzo per ogni ingiustizia, bagno i cactus e scrivo, coerentemente con quello che ho vissuto, accarezzando ogni ferita altrui.
Nella rivoluzione e nell’empatia ci ho sempre creduto, perciò, ti prego, non rompermi le palle ora con le tue teorie.
Che cosa farò poi?
Metterò un piede dopo l’altro giù dal letto, mi farò la stessa moka da tre di sempre, non asciugherò i capelli perché si sarà fatto caldo e valuterò se proseguire la mia vita secondo il piano A, B, o C. Che altro dovrei fare?
Come dici, non stavi parlando con me?
Perdonami, tutta colpa delle mie - solite - mancanze.