Mi piace immaginare il suo stato d’animo in quel frangente. Quando, in una caligine d’orgoglio e sovreccitazione, si guarda allo specchio del bagno e fa le boccacce sciocche, con le guance rigonfie di dentifricio e con la vita che lo mette al corrente che quel giorno sono 16 anni esatti che la fortuna lo ha baciato. Fa le boccacce e sorride alla vita. A quella fortuna sfrontata ed eccessiva, un benessere senza confini. Nel mare magnum dell’esistenza non è altro che un piccolo lungo periodo di piccoli e grandi successi, ingioiellati giorno dopo giorno in un bijou di eventi propizi. È il caso di dire, senza tema di smentita o prudenza scaramantica, che va tutto bene, tutto strepitosamente alla grande, e la fortuna soggiorna da 16 anni nella sua quotidianità rendendogli le giornate favorite dalla sorte: un domino che tessera dopo tessera macina felicità. Nient’altro che felicità. Incessabilmente felicità.
Mi piace immaginare, 16 anni addietro, il suo primo assegno milionario per il successo sconcertante dell’ultimo romanzo e l’entrata nell’alta società e i benefit e gli sponsor e la mondanità nella quale ora gozzoviglia: non più una traccia del suo passato miserabile e squallido, ogni peccato estinto, ogni colpa depennata dal successo. Mi piace immaginare il miglior sesso della sua vita con decine di partner assoggettati alla fama, la sua autostima incandescente, nient’altro che un fuoco d’artificio imbizzarrito nella notte, l’ego in espansione e la bravura nel saperlo galoppare e di non farlo mai sgorgare, la nuova cognizione della sua bellezza e del suo fascino, rimasto latente per anni. Mi piace immaginare anche la salute, lo stato fisico perfetto che accompagna il suo impetuoso benessere economico, 16 anni senza un raffreddore, una lacrima di sangue, un acciacco dovuto all’età, neanche l’ombra del malessere, ma vigoria, vitalità, energia straripante, creatività, ingegno, successo e denaro, una montagna di denaro.
Mi piace immaginare il suo rientro a casa. È tarda notte ed è in compagnia di una donna vestita di nero. Hanno bevuto e c’è una tensione sessuale fragilissima, che fra poco salterà per aria fino allo champagne ormonale: gli pizzica il naso dalla frenesia.
Sull’uscio gli cadono le chiavi sul pavimento e quando le raccoglie vede lo scarafaggio rovesciato sul dorso, a pochi centimetri dalle chiavi, davanti alla porta di casa: il suo regno incontaminato, il castello dei suoi successi, lo Stato-manifesto della sua realizzazione personale. Lo scarafaggio è di un bruno orrendo, disgustosamente lucido e sta cercando con tutte le sue forze di rimettersi sulle zampe e dileguarsi. Le zampe sono furibonde, frenetiche e convulse, un’immagine nauseante. Che tutto fa crollare nella sua testa dopo 16 anni di inossidabili certezze. Una bestia nera, schifosa, rovesciata sul dorso, il totem di tutte le angosce profonde e antiche.
Mi piace immaginare il suo sguardo in quel frangente,
figurarmelo mentre la vita, in quel rigoroso lampo temporale,
lo mette al corrente di quanto piccole,
infinitesimali
e leggerissime talvolta
possano essere le catastrofi.
Buona.