Corvo vs lupo
Al giorno d’oggi ho vagato turgido e maldisposto sulla vecchia scoliosi di questa megalopoli sempre giovane e tossica, attraversandola guardingo da sud a nord come un branco di un solo lupo ferito, in fuga da un fanatico corvo cacciatore di pelli. Mentre la strada si srotolava davanti a me ammucchiando indietro le pesanti tracce tangibili di vacue sensazioni, ho percepito le infiltranti carestie bieche nell’anima corrotta, obnubilata. Entravano senza permesso, tuonando sadiche parole con una voce a me ora tristemente nota, spiacevole, rauca, sguaiata, ubriacona, violenta e spietata, che pensavo amica e che ritrovo ostile e carnefice: l’eloquio grezzo e illogico di un volto consumato dalla dipsomania e dalla nullafacenza, di un bastardo signorotto di strada che mi grida addosso schifezze e contumelie.
Oggi ho peregrinato fino a farmi emaciare i polpacci, vivisezionando case e casermoni, fabbriche e fabbricati, pali e torri, baracche e container, pareti di chiese, coffee bar, negozi della nike, scivoli e altalene su aiuole rarefatte, cercando un guariglio dove rannicchiarmi e leccarmi le ferite, in attesa di un nuovo splendido inizio. H sentito le fumose aridità sulfuree della città prosciugare le mie lacrime arrugginite, incrostate sotto i miei occhi ancora increduli; ho accarezzato una secchezza dermica sbuciacchiata e refrattaria ad un entusiasmo che altrimenti, nei giorni del mio sole azzurro, scaturirebbe dal nulla - dal canto dei fringuelli del giardino in svolazzo da ramo a ramo, dall’erba che s’alza senza età, dalle musiche più belle del mondo conservate nel mio cuore accordato in do maggiore.
Al giorno d’oggi no, non funzia, non sto bene, non mi si desta che un risvolto emotivo marcescente: sono stato massacrato da qualcuno vestito di stracci malati e pustole biotiche, ergo vivo il niet patologico e non debbo alcun simulacro a nessuno. Guardo a terra sperando che i miei passi sian più lunghi del mio recente passato, spizzo i pochi passanti di questo tragitto industriale sperando che il presente possa confondersi nelle rughe misericordiose di qualcuno che non mi conosce.
Chiudo gli occhi augurandomi di non sanguinare dalle orecchie, mi concentro rannicchiato all’ombra delle mie tempie, ma vedo solo grandi circuiti di caos nero, nerissimo, che non sbiancherebbe financo in una tinozza alla crema d’amore materno.
Al giorno d’oggi questo enorme inceneritore di periferia è un obelisco germanico militarizzato che sborra fuori la peggio ipertrofia sub-urbana, ergendosi in mezzo al vialone come un ditone medio in vaffanculo cosmico verso i radi alberi che s’immolano nudi e depressi ai lati della strada, dove il gran cluster della meca-robotica su ruote alza da terra le cartine e le foglie e la polvere d’asfalto, come una danza stravinskiana caotica e scattosa che si ripeterà senza sosta, fino a quando la notte non spegnerà la corrente al pianeta.
Corri, lupo, che il centro della megalopoli ti accoglierà coi suoi canti striduli e coi suoi colori postmoderni; corri, lupo, corri, che tra’l caos dell’urbe anche il fumo industriale diventerà un soffice nevischio. Corri, lupo, che’l corvo rosso non avrà il tuo scalpo.
Le marmitte tossiscono cancri e tumori sui petali dei fiori e sul braccio di un bambino obeso che scarta un Mars datogli dalla madre accanto, i ratti sbucano dai cespugli addobbati di plastica e mi guardano ringraziandomi di non essere in Australia (prego), il millesimo treno della giornata che sfreccia a Fuckitstraße conduce l’ennesimo coglione a comprarsi l’ennesimo fottuto orologio d’oro, sottalcielo è un twister di piscio e vento e carne di pollo moribondo, guerre in letto, rumori riverberati nutrienti, sottopassaggi pedonali con piscine di vomito e fogna, aerovivande in bustina smerciate da tizi incappucciati, suoni di sassofono squarciati da felafel tagliati col filo spinato di una recinzione carceraria di Berlino Est. Alexanderplatz? Auf Wiedersehen.
Quella voce rauca e sguaiata mi perseguita, poi tenta l’ultimo stupro prima di fuggir via, forse per sempre. Piagnucolo sotto a un ciliegio, strizzo un sacchetto di parole inutili comprato al Tutto Un Euro, nuove e divenute vestigia di disincanto mi si appoggiano sulla corazza e mi richiamano alla pace dei miei solitari romitaggi agro-campestri.
L’orizzonte in tramonto di questa città è nondimeno bellissimo, mi ricorda Casa e gli Amici mentre me ne tiene allo stesso tempo lontano, s’apre a spintoni dietro il nuovo gigantesco centro commerciale eruttato improvvisamente questa estate in mezzo alla bolgia tranviaria, rilascia una firma schizoide da vecchio medico pronto alla pensione, una firma veloce e sbrigativa fatta di gialli e rosa e rossi pittati spontaneamente e senza pazienza, nuvole seghettate e scie di vento setato intersecate sulla carta spiegazzata del cielo che va a nanna.
Ecco la ricetta del dottore: un tramonto al giorno da consumare lentamente.
Mi liscio il pelo, mi spunto gli artigli, semino il cacciatore di pelli confondendomi tra i colori della natura. Un tramonto, basta un tramonto.
La caccia è chiusa e tu, corvo rosso, non avrai il mio scalpo.
Al giorno d’oggi è un nuovo domani, un nuovo ritorno.