Cosa dove
Le vetrate della sala riunioni ci concedono di guardare fuori dall’edificio aziendale, come fossero altri schermi che proiettano una realtà diversa dalla nostra, ma la maggior parte dei presenti (me compreso) si concentrano su quello che tengono fra le mani. Il capo progetto muove il cursore sul televisore a 60 pollici sulla parete opposta, mentre parla pacato di qualcosa oltre la soglia della mia attenzione. Ogni tanto batte sulla tastiera per cambiare slide o muove il mouse per evidenziare dei contenuti, sempre attento a non sbattere con la mano contro il corpo steso sul tavolo al centro della sala. Il braccio terreo, non ancora decomposto, sostiene la testa voltata dalla mia parte, ma io continuo ad alternare lo sguardo fra gli schermi e mi concentro sui cristalli liquidi che cambiano colore senza creare significato. Un mio collega alza lo sguardo da sotto il tavolo e si allunga per prendere una bottiglietta d’acqua frizzante tra le gambe gonfie, avvolte in un paio di calzoni leggeri, di tessuto sintetico. Le scarpe del cadavere sporgono dal tavolo, lato televisore, il braccio destro avvolge il telefono della sala riunioni. Il corpo emana un odore piuttosto sgradevole, al quale però nessuno osa accennare. Dall’altro lato del tavolo c’è chi annuisce a ogni frase assertiva del capo progetto, ogni tanto lo faccio anch’io, per pura imitazione, senza comprendere una parola di tutto il discorso. Ho perso il filo da tempo e cerco di concentrarmi sulle notizie catastrofiche che mi riporta il cellulare, per non dover fissare gli occhi spenti che mi guardano dal tavolo. Sul mio piccolo schermo continuano a scorrere i dati della sesta estinzione di massa, mentre su quello più grande le forme, i colori e i simboli si alternano in sequenze impossibili da decifrare, voglio sperare per tutti i presenti. Una mia collega sui quaranta si sporge sul tavolo per prendere la propria tazza e la fa cadere sul fianco del corpo, ma fa finta di niente: rialza la tazza e tampona con dei fazzoletti il liquido scuro che cola dal suo lato del tavolo. Anche i suoi vicini la ignorano, anzi sembrano ostentare sempre maggiore attenzione al capo progetto. Quando questo si alza e per poco non appoggia la mano sul cranio spelacchiato, avverto una tensione sottile tendere l’aria, le persone farsi più presenti, anche se solo per un attimo, persino io rialzo il capo dal cellulare. La mano evita il contatto funereo con uno scatto e gli occhi spaziano per tutta la saletta, senza mettere a fuoco nessuno in particolare. Per un nanosecondo ho paura di essere stato interpellato, poi noto con un certo sollievo che la riunione è finita e siamo ai convenevoli. Due colleghi provano a uscire dalla parete lato schermo, per fare prima, ma le scarpe nauseabonde del cadavere bloccano loro la strada: tentano goffi di circumnavigarle, prima di desistere e aspettare il loro turno dall’altro lato del tavolo. Il capo progetto getta solo un’occhiata al telefono interno, preso in ostaggio dal cadavere. Mente esco dalla stanza vetrata, qualcuno mi rivolge la parola. Faccio finta di non sentire.