Ci sono i momenti in cui sei sola.
Ok, no.
Sei sempre sola, non diciamo sciocchezze.
Però certe volte è un problema.
Non puoi sapere quando, ma succederà che nel tuo essere esattamente come chiunque altro tu ti senta straordinariamente sola, di una solitudine cocente e specchiata, pesante e totalizzante.
Poi, chiaramente, tutto quello che credi di aver perdonato, superato, accettato, digerito o anche semplicemente compreso sarà pronto ad emergere a comando in quei momenti lì.
E non sarai solo sola, sarai sola contro il mondo che sistematicamente ti dimentica in un angolo e se ne frega di te. Una catastrofe inenarrabile.
Anche se lo sai che non è così, anche se sai che hai una vita piena di amore e orde di gente pronta a sostenerti, non ti aiuta, non ora. Il mondo intero è il tuo nemico.
Credo sia una forma di meteoropatia perché succede molto più spesso nel cambio stagione. Quando togli il piumone pesante ma ancora non puoi togliere i collant. Quando sudi col cappotto ma quando meno te l’aspetti inizia a diluviare. Quando gli alberi fioriscono ma non fai in tempo ad innamorartene che già sono sfioriti. Quando le giornate si allungano ma non hai un briciolo di forza nelle gambe per riuscire ad approfittarne. Quando passi i giorni a ciondolare sbadigliando ma poi a letto non riesci a prendere sonno.
È allora che succede. La mezza stagione segna picchi di suicidi, gastriti e grandi scleri.
Non è così strano. Il mondo rinasce ma tu non stai al passo.
Siamo tutti messi così e figurati se riusciamo a convivere pacificamente. Dovremmo stare davvero soli e passare il tempo in pigiama in questo periodo, crogiolandoci nel senso di colpa per aver sprecato la giornata in pigiama. Mangiando schifezze. Ingrassando. Piangendo, se il caso.
E invece no.
Perché è Pasqua. E poi c’è pure Pasquetta. Quando ti rode il culo le feste sono una maledizione. Ma è quando ti rode il culo che arrivano le feste. Stacce.
Doversi fermare, dover rispondere a una infinità di domande personali di cui nessuno ascolta mai la risposta. Quanto sarebbe meglio lavorare, darsi malati, emigrare.
Fare tutta una tirata fino al 25 aprile, giornata salvifica in cui il clima si stabilizza, scoprire le cosce inizia ad essere un’ipotesi sensata e puoi passare la giornata libera da obblighi sociali, circondata solo da persone con cui puoi stare in silenzio. Perché sanno già tutto di te. Liberata dalle formalità e dai magoni. Zitta. Su un prato. A bere vino di merda e cantare “Bella ciao”. Magari circondata di estranei che ti ignorano. Ma lì, chissà perché, non ti senti mai sola.
Che Liberazione!
Venti giorni. Venti fottuti giorni.
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