Delorazepam
Sente il ronzio delle zanzare nelle orecchie, sempre più forte. Ma ha imparato a non farci più caso. Le zanzare qui si vedono già da febbraio; quando pungono poi, lasciano dei segni davvero fastidiosi. Se potessero ti porterebbero via volando e del tuo corpo ne farebbero un bel banchetto in un posto paludoso e umido.
La sveglia suona alle sette ma non la sua. Quella della sua compagna di stanza. Una sveglia delicata al contrario di quella che si imposta lei alle sette e mezza: aggressiva, quasi fastidiosa e direttamente dai primi duemila, quando chi ascoltava Brusco era considerato un tipo ok. Alle sette poi suonano anche le campane della parrocchia vicina.
Si alza dal letto, barcolla fino alla porta della stanza ma sente un lieve mancamento, e si costringe a ritornare a letto. Troppi calmanti in una volta sola. Fai attenzione al fegato, si dice. Fai schifo, si ripete per l’ennesima volta nelle ultime 24 ore. Ha perso sei chili nelle ultime tre settimane. Che fastidio.
Buio.
Sono le nove. Cazzo si dice: sono in ritardo per il lavoro. Mangia in fretta assieme al caffè troppo caldo un Pangocciolo, ideale per le schimiche e pensa che ecco ne ha sprecato un altro. Con 84 euro ci arrivo a fine mese? Meglio non porsi troppe domande di tal genere. Meglio correre, montare sul battello e arrivare a destinazione. Testa bassa, profilo basso. Urge necessariamente soffocare la paura per il futuro, l’ansia dei grandi piani che non concernono un lavoro un bel po’ precario. Si chiama navigare a vista. Si dice fare un passo alla volta. Spesso questo modo di dire le ricorda il primo uomo che saltella sulla luna. Un’immagine banale certo, ma molto emozionante. Quel passo che non si è fatto sulla Terra, ma che si è fatto guardando la Terra dall’alto.
Le strade che possiamo percorrere nella vita sono tantissime, e tutte diverse; correttivi e anticorpi che ci creiamo ci indirizzano tramite processi randomici, verso una o verso l’altra, in un intricato sentiero fatto di bivi e biforcazioni. Lei conserva ciecamente la fiducia verso questa idea, o meglio, ne ha fede. Tutto andrà come deve andare e ci saranno bei posti da poter chiamare casa.
Vorrebbe che tutto quello che la circonda non abbia parvenza di recita; preferisce quindi stare zitta, non sbilanciarsi troppo, stare al proprio posto. Quando tentennante prova a chiedere qualcosa o dare consigli si sente inadeguata. Sorgono dei pacati isterismi che ingoia al posto della frutta. Nel cesto infatti c’è un bel chilo di banane e albicocche intonse in frigo. Alla recitazione preferisce la trasparenza, gli occhi di chi guarda a una cosa che ama, lo sconforto sincero verso qualcosa di riprovevole. Le parole dirette, le lame, i coltelli affilati.
La solitudine ripaga di tutto. Lei deve solo ringraziarla.
La paura dello squilibrio aleggia come l’odore di un corpo in putrefazione, di quelli che si sentono nei cimiteri quando i becchini non hanno ancora messo la lapide sopra il calcestruzzo che copre i loculi.
Quando si trova in mezzo a discorsi accesi tra bicchieri di vino e birre, preferisce mediare, stare in silenzio, studiare i soggetti, non rovinare l’equilibrio dei discorsi altrui; osservare le conseguenze con un occhio esterno la mette in una situazione di neutralità per cui riesce a intuire cosa si nasconde nella vita degli altri. Potrebbe dirsi che caca fuori dal vaso per intuizione: ma alla fine inquietantemente arriva sempre a una conclusione plausibile.
Molte volte l’incertezza l’assale e ci sono poche cose dell’infanzia che la riportano a una dimensione più umana. Il raccordo tra il presente e il passato è semplice, una volta che se lo ricorda ordinatamente nella testa, in modo da far smettere al cuore di vibrare istericamente.
Una goccia, due, tre… arriva a venticinque e poi capitola a letto. Un soldato stanco.
Non ha più voglia di pensare. Vivere il presente la rasserena; sempre meglio che pensare al futuro. È sempre un passo alla volta quello che deve fare nella realtà quotidiana; quindi perché non assecondare questo ritmo? Ogni giorno richiede cura e pazienza per far riemergere questa convinzione e renderla sempre più forte senza che vi sia alcuna parvenza di menzogna autoprodotta.
I piani e i desideri sono sempre tantissimi e come le zanzare nella stanza, ronzano continuamente nella testa. La soluzione è sedarli. Vivere con Luca, cambiare città di nuovo, cambiarne almeno altre tre. Continuare a sperimentare su sé stessa è la faccenda che più la stuzzica. Ogni volta si sente sempre di voler superare il proprio limite. Ogni volta stringe i denti e percuote a vergate silenziose il suo cuore, tra ricongiungimenti e distacchi. A volte le sembra che il suo cuore sia informe come i blob che vendono in edicola, con quell’aspetto disgustoso pronto a raccogliere tutte le schifezze microscopiche e polverose che si nascondono in una qualsiasi casa.
È sempre più complicato trovare un posto da chiamare casa. La sua vita è un continuo errare ormai da quasi dieci anni, e non si sente mai in via definitiva nel posto giusto. Ma forse si dice spesso, l’errare le consente di scegliere quale sia il posto giusto in una fluidità simile a quella che descriveva Bahuman, dove una via d’uscita non c’è; un’idea di stabile non esiste poiché tutto è relativamente incluso in un torrente d’acqua che scorre più o meno veloce. Si deve fare i muscoli. Talvolta sente che sta correndo.
Molto spesso, fumando una sigaretta alla finestra si sente mancare il fiato. Una volta le sigarette erano tante. Ora sono diminuite. Non tanto per necessità legate alla salute, ma per mancanza di respiro. Al bar fuma ancora molto. La sete è sempre tanta anche in senso non figurato.
Ha imparato ad accettare che i legami si stringono nel cuore, nel suo blob. Ha deciso di conservarli così, in uno stadio quasi etereo che a volte collima con la realtà della vita quotidiana. Non lascerebbe mai indietro nessuno. Ed ecco che il blob raccoglie sempre più particelle microscopiche e polverose; come il suo orso di peluche, che ha la sua età. Ogni tanto ci parla come se fosse una creatura viva. Ha deciso che il posto dove lo porta viene chiamato “casa principale”, “soggiorno semipermanente”. Lo tiene lontano dai treni e dalle corse e cerca di preservare il lui tutta l’innocenza di un neonato che ha appena aperto gli occhi per la prima volta.
Una goccia, due, tre... venticinque.
Ripiomba nel sonno. Anche oggi ha lottato per vivere nel presente, tenendo a mente tutti i sogni, tutti i piani, raccolti in un figurativo libro pop-up. Cerca di accordare il suo cuore al ritmo dell’attuale, agisce perché il sentire di ogni secondo possa farla respirare senza affanni. Ogni giorno apre e chiude quei tanti cassetti dell’inconscio che le ricordano i disegni di Dalì.
Riposa adesso, in uno stato narcolettico che non le consente di pensare, ma solo di sognare profondamente, di immaginare tante piccole realizzazioni che rifiutano le condizioni sociali attuali di sé stessa e le inguistizie subite dalle persone che la circondano.
Vorrebbe abbracciare tutto il mondo in una volta sola