Esperimento di verità
Laggiù, oltre i binari vuoti della stazione di Zoo, oltre le strade deserte, incorniciato dagli alti grattacieli e dalle loro geometriche linee di fuga, un camion a rimorchio nero compenetra il mercatino di Natale di Zoologischer Garten. Rimane lì, come appoggiato alle bancarelle più vicine, immobili nelle loro figure sfasciate, accartocciate, congelate nelle temperature invernali e nella memoria berlinese. Il camion sta lì a metà, con le ruote anteriori ancora (o di nuovo?) sul manto bituminoso, sgombro, il fianco scuro che sfila lungo i margini del mercatino di Natale. Osservo la piazza tacere, immagine fissa e lontana, non così distante dalla mia posizione di spettatore privilegiato. I binari rialzati sul livello stradale, a poche centinaia di metri dalla piazza, mi permettono di distinguere la planimetria del mercatino, le bancarelle integre e quelle distrutte, i pannelli della polizia, ma non riesco a scorgere neanche una persona. Nessuno cammina fra quei resti mnemonici, non un movimento popola la scena, non un rumore, neanche la voce della stazione che annuncia i treni per l’aeroporto. Non ricordo neppure le insegne al neon, i loghi, le scritte, non trovo agganci linguistici all’interno di un’immagine cristallizzata dalle cronache oltre che dal tempo. Il vero oggetto estraneo là in mezzo è la chiesa diroccata che si erge al centro della scena, un memoriale delle bombe, di quando i morti si contavano a migliaia nella sola Berlino. Le volte sventrate come bocche vuote, smorfie di sgomento affacciate sulla piazza, il tetto spezzato della Gedächtniskirche, le sue linee slanciate verso il cielo e interrotte a mezz’aria; ai suoi piedi le bancarelle, le luci, persino il camion nero (perché proprio nero?) sembrano dettagli, una cornice lontana le cui luci riverberano sulle facciate neoromantiche. O forse è il contrario. Rimango lì in piedi a contemplare qualcosa difficile da catalogare, lo studio, lo assorbo, studio ancora una volta il fianco del tir, le sue tre ruote posteriori, il resto del mercatino intatto, ignaro della devastazione, l’immaginario consumistico-natalizio solo appena deturpato, una scena asettica e impossibile da decifrare fuori dal suo contesto. Cerco macchie di sangue nei miei ricordi, ma non ne vedo, trovo solo geometrie note, addobbi, colori e luci appannati dall’alba gelida di quell’inverno così più freddo di quello che affronto ora, solo tre anni dopo, su quegli stessi binari, in attesa di un altro treno. Le persone sono tornate a popolare il mercatino, circondate dalle stesse luci e geometrie, le auto scivolano sotto di me, sulla Hardenbergstraße. La Gedächtniskirche è ancora al suo posto, le sue trifore rimangono vuote così come i suoi altissimi archi, l’orologio luminoso continua a segnare le ore, gli stessi grattacieli incombono sulla piazza, la delimitano, le stesse bancarelle offrono lo stesso cibo eccessivo, da ogni punto di vista. Solo alcune sono state sostituite.