Fai una lista delle cose che non vuoi
Faccio una rapida conta di pensieri positivi: ne infilo senza pause 11, tutti pensieri riguardanti azioni che posso svolgere in casa o nei limitrofi. Vorrei arrivare a 20 e ne mancano meno della metà, tutti inseriti in quella macro-categoria di attività vietate dai tempi che corrono anche se, da qua dentro, non corrono poi così tanto, mentre lì fuori, in alcuni fuori soprattutto, corrono anche troppo.
Chiudo la conta e torno attento al telefilm che sto guardando: è notte fonda, Arianna è in camera e dorme già da un po’, io sono rimasto sul divano perché non mi va di coricarmi. Mi mette angoscia, ne aggiunge a quella che normalmente amalgamo, impasto, nascondo, dissotterro, spacco in mille pezzi, ricompongo e infine ne parlo e scrivo per toglierne un po’ di quella nuova, accumulata in giornata. Così la vita mi passa attraverso come suo solito, con la durata tipica delle giornate primaverili e il sole che si attarda sempre un po’ di più. Ecco, questo è stato uno dei risvolti magici degli ultimi giorni: notare dettagliatamente l’allungarsi delle giornate, non solo percependolo tra un impegno e l’altro, ma quasi misurandolo in una serie di flash mnemonici. Ci penso e sono contento, anche se dura poco.
Di mattina rimaneggio la lista di cose per provare ad aggiungere almeno un dodicesimo elemento alla lista dei pensieri positivi che possono avverarsi, ma nessuno può scavalcare quelli rimasti fuori e maledico tutti gli anni spesi a fare classifiche. Vorrei ordinare dei dischi e dei libri, tagliarmi i capelli, pedalare fino a San Pietro, giocare a tennis contro il dritto da fondo campo di mio suocero che assomiglia più ad una fucilata e -ovviamente- perdere il punto. Vorrei fare tutte le cose che vorrebbero fare tutti, compreso tornare a casa dei miei e pranzare assieme. Invece ho detto a mio babbo che l’avrei videochiamato e non l’ho fatto, perché che cazzo ci diciamo, mia madre parte con una filippica su un argomento a caso mentre ho il pensiero di Eriano che va a comprare il pane senza mascherina e l’impazienza che lo mangia se non esce almeno una volta al giorno. Quindi mi chiudo qualche ora su Metal Gear Solid 5, che è bellissimo e mi fa tornare adolescente. Non mi fa bene, ma mi fa un altro bene più sciocco, quindi lo tengo buono nelle cose positive ma fuori dalla top20.
Muore Gianni Mura e ci rimango male. Vorrei comprare quel suo libro che, invece no, non lo compro, non posso. Arianna mi dice che l’Altroquando però, forse, fa le consegne a casa e anche lei vorrebbe qualcosa di nuovo da leggere. Qualcosa nello specifico, perché di nuovo da leggere in casa ce ne sarebbe per un anno. Tutti libri sbagliati per il momento che stiamo vivendo: mi complimento con me stesso per l’accuratezza con cui accumulo libri assolutamente inadeguati a momenti di tensione e complicati. Non che uno debba avere una riserva aurea in casi come questi, però due domande sui miei gusti me le faccio. Altre due domande. Sì, altre due.
Stamattina, mentre cagavo, ho letto l’ennesimo bel articolo di Valerio Mattioli sul “black sun”, mitologia nera, mediterraneo anale, inversione tonale della realtà. Il solito macello di cose che non conosco e a cui mi abbevero in cerca di una visione che illumini il lentissimo cammino di questi giorni, maledicendomi per essermi addormentato poco dopo l’infausto discorso di Conte, aver prodotto un incubo delirante sulla natalità per poi imbattermi in queste righe su Not, tutt’altro che rincuoranti. Tiro una bestemmia tra me e me mentre mi pulisco il culo.
C’è il sole su Roma, ho l’allergia e Arianna propone di pranzare in balcone, un’abitudine che stiamo consolidando in queste settimane per sfuggire alle mura casalinghe almeno durante il pasto, invertendo il processo di auto-conservazione di noi che già da prima lavoravamo da casa: cercare di non lavorare dove si mangia. Cercare di non mangiare dove si vive.
Rifaccio al volo la lista di pensieri positivi che possono avverarsi: mangiare sul balcone. Dodici.