Fantastiche citazioni #1
Meravigliose le tue braccia. Quando morirò vieni ad abbracciarmi, ma senza il pull over.
— Eugenio Montale - Piròpo, per concludere (da Poesie disperse)
Le piccole cose hanno la loro importanza: è sempre per le piccole cose che ci si perde.
— Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo
Solo a quest’ora di notte mi viene in mente che la tua faccia risponde ad una geometria particolare e ne ho così chiara negli occhi la costruzione che disegnarla sarebbe un gioco da ragazzi.
Domani, avrò già dimenticato queste meravigliose intuizioni.
— Andrea Pazienza, Le straordinarie avventure di Penthotal
Anche tu sei l'amore.
Sei di sangue e di terra
come gli altri. Cammini
come chi non si stacca
dalla porta di casa.
Guardi come chi attende
e non vede. Sei terra
che dolora e che tace.
Hai sussulti e stanchezze,
hai parole – cammini
in attesa. L'amore
è il tuo sangue – non altro.
— Cesare Pavese, Anche tu sei l’amore (da Poesie)
Il fumare lo aiutava molto davanti alle donne, a cui il fumo piace, anche perché lo ritengono, e magari con ragione, un gradevole presagio dell’arrosto.
— Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore
Cercò per tutta la vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l'inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento
— Italo Calvino su Carlo Emilio Gadda
Vita, morte,
riso, pianto
è il manto
che mi copre.
Natura,
amore, bellezza,
tutto quanto
l’anima scopre.
— Fernando Pessoa, Il manto e l’anima (da Poesie)
Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito.
— José Saramago, Viaggio in Portogallo
Prova a seguire la corrente. Tieni alta la guardia. Non lasciarti infinocchiare. Vota democratico a tutte le elezioni. Pedala nel parco. Sogna il mio corpo perfetto e dorato. Prendi le tue vitamine. Bevi otto bicchieri d’acqua al giorno. Fai il tifo per i Mets. Guarda un sacco di film. Non lavorare troppo. Vieni con me a fare un viaggio a Parigi. Accompagnami all’ospedale quando Rachel avrà il bambino, e prendi in braccio mio nipote. Lavati i denti dopo ogni pasto. Non attraversare con il rosso. Difendi i piccoli. Non farti mettere la testa sotto i piedi. Ricorda quanto sei bella. Ricorda quanto ti amo. Bevi uno scotch con ghiaccio tutti i giorni. Respira a fondo. Tieni gli occhi aperti. Stai lontana dai cibi troppo grassi. Dormi il sonno dei giusti. Ricorda quanto ti amo.
— Paul Auster, Prova a seguire la corrente (da Follie di Brooklyn)
Lei disse: “Dimmi qualcosa di bello” Lui rispose: “Parmigiana di melanzane”. E subito si chiavò, senza giri di parole e equazioni matematiche e frasi di Giulia Carcasi.
— Re-noir (un blog su tumblr)
Io arbitrariamente nell’inconscio ho aggiunto questo aggettivo “meridiane”, non nel senso astrofisico del termine, cioè del mezzogiorno con il Sole allo zenit, ma per dirla con i napoletani, dalla controra in avanti, cioè la seconda parte di luce della giornata, dunque il pomeriggio. Mi era sembrato proprio che il pomeriggio contenesse la massima quantità di antico, portando anche delle sensazioni demoniache, come una specie di tinta panica, un odore di selvatico. Tutte cose che agli artisti piacciono enormemente.
— Paolo Conte sul titolo Alla primavera, o delle favoleantiche di Giacomo Leopardi
C'era un frastuono di lingue e accenti diversi, e un cameriere dietro il banco annunciava le ordinazioni con l'altoparlante. Dalla strada veniva il rumore dei clacson. – Mi piace quella libreria. Sai perché? – disse lei. – Perché è quasi sotterranea. – Ti senti nascosta. Ti piace nasconderti. Da cosa? Gli uomini discutevano di affari con frasi veloci e sconnesse, in cantilene dalla metrica formale accompagnate dal tintinnio delle posate. – A volte semplicemente dal rumore, – disse lei, chinandosi verso di lui in un sussulto allegro. – Dovevi essere una bambina silenziosa e malinconica. Incollata alle ombre. – E tu? – Non lo so. Non ci penso. – Pensa una cosa e dimmela. – Va bene. Una cosa. Quando avevo quasi quattro anni, – disse, – ho calcolato il peso che avrei avuto su ogni pianeta del sistema solare. – Carino. Oh, mi piace, – disse lei, e lo baciò su un lato della testa, con aria leggermente materna. – La scienza combinata con l'ego – E poi rise, a lungo, mentre lui riferiva le ordinazioni al cameriere.
— Don De Lillo, Cosmopolis
Tanto estraneo può diventare solo ciò che si ama alla follia.
— Peter Handke, Il peso del mondo
Quando si esce da un brutto periodo (e i segni di qualcosa che ha strisciato in te permangono come una dote inalienabile) si resta misteriosamente soli. Deserti di silenzio ti si aprono davanti. I numeri telefonici, improvvisamente, come per una legge di natura, iniziano a cambiare. Trovi la forza per rimetterti in piedi e il tuo quartiere, i luoghi in cui passavi le giornate, l'intera città, ogni cosa si svuota, ti si sottrae da sotto i piedi, diventa inaccessibile. E’ come se tutti, segretamente, avessero temuto un tuo risveglio dei primi di ottobre.
Dopo settimane passate a girovagare per i bar dove non s'incontra più un'anima diventa chiaro che per sfuggire a ricadute disastrose è necessaria una partenza.
— Nicola Lagioia, Come sbarazzarsi di Tolstoj (senza risparmiare se stessi)
Quando non coincide più l’immagine che hai di te
con quello che realmente sei
e cominci a detestare i processi meccanici e i tuoi comportamenti
e poi le pene che sorpassano la gioia di vivere
coi dispiaceri che ci porta l’esistente
ti viene voglia di cercare spazi sconosciuti
per allenare la tua mente a nuovi stati di coscienza.
— Franco Battiato, Personalità Empirica
Nicola ride. Io sto zitta. Poi mi sembra che non me ne importi più niente, sul serio, che non me ne importi più niente. Dei dadi, dei sette e dei due e dei dodici. Vorrei ridere anche io ma ho perso il momento giusto, Nicola è di nuovo concentrato a guidare. Se solo si voltasse verso di me, gli chiederei scusa, oppure cercherei di rispondere alla sua domanda. Gli spiegherei quanti sono i numeri. Riderei da sola. Chissà cosa potrebbe succedere se lo facessi davvero.
— Paolo Cognetti, Manuale per ragazze di successo
Imbarcadero di Karaköy, ultima corsa ai traghetti per l’altra sponda. Sotto il cielo inondato da una luce morente giallo-rosata la gente fa ressa tra montagne di pesce azzurro, urla di venditori e nuvole di gabbiani. Guardi la notte che viene dall’Asia e resti inchiodato sulla riva, incapace di partire per quell’Altrove così a portata di mano. Allora pensi che le tue novantacinque ore di treno, i controlli di confine, le attese e le coincidenze mancate nella tormenta sono servite solo a capire tutto questo. Ma sì, chiamiamolo Oriente.
Odore di pane arabo e pesce affumicato del Nord. Il Bosforo è un fiume di fiumi, un ventre scuro dove scorrono insieme il Don, il Dnepr e il Danubio. Navi nere vanno e vengono sulla strada d’acqua. Oscurano, passando, le luci dell’Asia. Cormorani in formazione transitano a pelo d’acqua, ripenso a Kreuzberg, Berlino, ma sento improvvisamente la vicinanza di Venezia con il suo Fondaco dei Turchi. L’Altrove lancia un segnale intermittente, con un piccolo faro. Si chiama Kandilli Feniri. Da mille anni è lì nella corrente, a sorvegliare quell’infinita processione di navi, pesci e uomini.
— Paolo Rumiz, È Oriente
quale allegria,
se non riesco neanche più a immaginarti
senza sapere se strisciare se volare
insomma, non so più dove cercarti
— Lucio Dalla, Quale Allegria
L’orizzonte è deserto, non ci sei che tu. Tu sei l’orso e la grotta. Perciò io sto ora accucciata tra le tue braccia, perché tu mi protegga dalla paura di te.
— Italo Calvino, Prima che tu dica pronto
E poi ti direi che le serate sono lunghe, lunghissime, quasi infinite, e languide, ma che il mio cuore reagisce come una volta, e a volte a una musica, a un suono, a una voce che passa per strada comincia a battere all'impazzata, sembra un cavallo al galoppo. Però, se la notte mi sveglia, come sempre, per far calmare quei battiti mi alzo e vado in sala da pranzo, accendo una candela gialla, perché il giallo è bello nella penombra, e leggo Dolce e chiara è la notte e senza vento, e quelle parole mi tranquillizzano, anche se il vento là fuori agita i rami degli alberi e allora mi dico: lungi dal proprio ramo povera foglia fragile, dove vai tu? Me lo chiedo e cerco di riaddormentarmi e se non ci riesco riattizzo le braci del caminetto affinché luccichino ancora un poco, e per addormentarmi penso che ti scriverei che non sapevo che il tempo non aspetta, davvero non lo sapevo, non si pensa mai che il tempo è fatto di gocce, e basta una goccia in più perché il liquido si sparga per terra e si allarghi a macchia e si perda. E ti direi che amo, che amo ancora, anche se i sensi sembrano stanchi, perché lo sono, e quel tempo che era così rapido e impaziente, ora è lunghissimo da passare in certe ore del pomeriggio, soprattutto sul fare dell'inverno, quando se ne va l'equinozio e la sera cala a tradimento e le luci che non aspettavi si accendono nel villaggio
— Antonio Tabucchi, Si sta facendo sempre più tardi
Io da medico ragiono esattamente così: la vita è sempre importante, non soltanto quando è attraente ed emozionante, ma anche se si presenta inerme e indifesa.
— Enzo Jannacci
E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos’è che volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra
— Raymond Carver, Ultimo Frammento
Il mondo reale è pieno di solitudine esistenziale. Io non so cosa stai pensando o che cos’è che hai dentro, e tu non sai che cos’ho dentro io. Nella letteratura penso che in un certo senso riusciamo a saltare oltre questo muro. Ma questo è solo un primo livello, perché l’idea dell’intimità mentale o emotiva con un personaggio è un’illusione, un meccanismo creato dallo scrittore attraverso la sua arte. C’è anche un altro livello su cui un testo letterario diventa una conversazione. Fra il lettore e lo scrittore si instaura un rapporto che è molto strano, complicato e difficile da descrivere. Un ottimo brano di letteratura non è detto che mi catturi completamente e mi faccia dimenticare che sono seduto in poltrona. C’è della narrativa commerciale che è perfettamente in grado di riuscirci; una trama avvincente è perfettamente in grado di riuscirci: ma non mi fa sentire meno solo.
Invece c’è una specie di: «A-ha! Qualcuno almeno per un attimo la pensa come me, o vede una cosa nel modo in cui la vedo io». Non capita sempre. Sono brevi flash, fiammate, ma ogni tanto mi capitano. E non mi sento più solo, a livello intellettuale, emotivo, spirituale. La letteratura e la poesia riescono a farmi sentire umano, a eliminare quel senso di solitudine, a mettermi profondamente e significativamente in comunicazione con un’altra coscienza, in una maniera del tutto diversa da quanto riescano a fare altre forme d’arte.
— David Foster Wallace (da Larry McCaffery, An Interview with David Foster Wallace, Review of Contemporary Fiction, estate 1993)