Benvenutə al centoundicesimo appuntamento di Fantastico!
Ebbene sì, è settembre: Dario Brunori ci ha mentito anche quest’anno con quella cosa della storia che nasce e i Marlene Kuntz sono passati dal via facendo cassa coi punti SIAE.
Sono successe tante cose durante la pausa estiva che avrebbero potuto rovinarci le vacanze, ma per fortuna lo stadio del frisbee ci ha protetto da ogni malinconia.
Torna il format più amato da Monica Cirinnà, le tre domande a bruciapelo a poeti santi navigatori, ottime per incuriosire, portare altrove e per rompere il ghiaccio, soprattutto se dopo averlo fatto non sai più cosa dire e vai nel panico. Non è vero dai.
Torniamo a gamba tesa con Francesca Anelli, femminista intersezionale che affronta con grande lucidità tematiche attuali quali la sensibilizzazione nei confronti dello spettro asessuale e della fat liberation.
3 domande a Francesca Anelli
So che non ami definirti come attivista, ma di fatto a modo tuo, insieme ad altre persone, porti avanti le istanze della comunità asessuale italiana, dunque, perché rifuggi questa definizione?
Non mi piace definirmi attivista perché sento che a quello che faccio su internet (scrivere post, stories e newsletter) manchi una dimensione comunitaria di militanza. Il punto non è che non si possa fare attivismo attraverso i social, anche perché sono fermamente convinta del contrario (sono ottimi mezzi per coordinarsi e diffondere informazioni), ma che un certo tipo di attività digitale per me non corrisponde all'attivismo quanto piuttosto all'"avvocatura", ovvero all'advocacy. Quest'ultima ha una sua dignità intrinseca, contribuisce a cambiare in meglio il discorso pubblico attorno a temi di interesse sociale e non ha bisogno di essere associata all'attivismo per venire "elevata". Fare dei post informativi su Instagram o commentare in chiave femminista una notizia di cronaca è utile e va riconosciuto ‒ chi disprezza l'advocacy sui social tout court probabilmente non è in buona fede ‒ ma è diverso da organizzarsi con lǝ compagnǝ di lotta in azioni concrete ‒ anche digitali, ripeto, il punto non è che vale solo ciò che si fa in piazza (sarebbe abilista e miope).
Qual è secondo te il fulcro del problema quando si parla di attivismo oggi come oggi?
Non essendo un'attivista vera e propria, come dicevo, non credo di essere qualificata a parlare dei problemi dell'attivismo in quanto tale. Posso però dire che una cosa che mi piacerebbe vedere di più negli ambienti social è una messa in discussione dei meccanismi indotti da questi strumenti, che girano intorno al concetto di performance e reputazione. Vedo spesso una semplificazione di argomenti complessi o, dall'altro lato, un uso strumentale del concetto di complessità, per produrre il "contenuto giusto al momento giusto", come se parlare di giustizia sociale potesse entrare comodamente in un piano editoriale. E non lo dico con lo snobismo di chi vede nella figura dell'influencer la morte della civiltà, ma con la preoccupazione di chi ha sentito trattare temi che le stanno a cuore con grande superficialità, automatismi del pensiero e formulette facili buoni solo a mostrarsi abbastanza preparatǝ e rinforzare la propria reputazione. Si fa un gran parlare di privilegio e passare il microfono, ma quando conta davvero questo non succede mai e non ci si chiede abbastanza perché, se non per puntare il dito in maniera sterile. Non ci si chiede se abbia a che fare con le logiche commerciali dei social, con una mancanza di onestà intellettuale o con entrambe le cose. Sarebbe ora di uscire dalla dicotomia radical vs liberal per guardare in maniera sistemica a come stiamo ‒ tuttǝ ‒ sui social, se vogliamo usarli per portare un cambiamento positivo.
Che cosa comporta l'invisibilizzazione dello spettro asessuale per la singola persona e per la comunità stessa?
L'invisibilizzazione della comunità asessuale porta le persone ace a subire un'ingiustizia ermeneutica, ovvero a non avere gli strumenti per definirsi e comprendersi. Per il singolo individuo ciò porta spesso a una vita di alienazione e confusione, alla patologizzazione e in alcuni casi agli abusi sessuali ed emotivi. Se non sai che ciò che senti è normale non puoi difenderti di fronte a chi ti dice il contrario. Questo, inoltre, va a detrimento di tutta la comunità LGBTQIAKP, perché non fa che confermare l'eteronormatività e quindi proporre dei comportamenti "standard" all'interno delle sfere sessuale, romantica e relazionale che danneggiano anche altre persone queer. Minimizzare questo aspetto della discriminazione significa affrontare la lotta di liberazione in maniera miope e purtroppo accade spessissimo anche in ambienti LGBT+, proprio perché lo spettro allo-ace è un altro asse di oppressione da includere in una visione intersezionale.
L’interesse intorno a Mario Mieli, pioniere del movimento omosessuale italiano, e alla sua opera più conosciuta, Elementi di critica omosessuale (Einaudi, 1977) si è riacceso negli ultimi anni, a partire dalle iniziative per il trentesimo della sua scomparsa fino alla recente riedizione del libro (Feltrinelli, 2017) e all’uscita del film biografico Gli anni amari (2019) di Andrea Adriatico.
“Siamo tutti transessuali”, quando Mario Mieli criticava il binarismo
L’obiettivo di Mieli è dimostrare che l’omosessualità non è un male da debellare, ma una condizione intrinseca alla sessualità di ogni essere umano, e l’augurio che sembra aleggiare dalla prima all’ultima pagina è che presto o tardi si possa giungere a una piena libertà di espressione sessuale.
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- di Erica Bouvier
Fermi tutti, Bebo ha qualcosa da dirci:
“Durante la primavera 2021 ho tenuto un corso di scrittura presso TheSIGN Academy di Firenze e, dati i buoni risultati di questa collaborazione, ci siamo detti che sarebbe stato bello riprovarci, aggiungendo qualcosa di più personale.
“Un corso di scrittura Fantastico!, per non morire sul palco” nasce dalla sempre più forte esigenza di saper costruire un discorso pubblico, non solo come dinamica collettiva, ma anche come attività singola.
Assieme a me ci saranno Giovanni Barbieri (docente di sceneggiatura), Lodo Guenzi (per l’uso del corpo e dello spazio sul palco), Enrico Roberto (soundtracking) e Stefano Maggiore (competenze dedicate ad ambiti professionali più classici).
Due volte al mese, per sei mesi, a Firenze.
Per saperne di più: info@thesign.academy”
Torna su questi schermi una nostra vecchia conoscenza, e lo fa presentando la poesia con “Fabio Volo spostati”. Preso.
Rifiuto
Ricadere nella solitudine di un momento infinito,
La leggerezza persa,
La spensieratezza andata,
Il peso del macigno che ti porti dentro,
Come se pretendessi troppo da te stesso, come se nessuno ti desse una possibilità,
Troppo sensibile,
Troppo apatico,
Troppo pesante,
Troppo grasso,
Troppo grosso,
Troppo intelligente,
Troppo frivolo,
Hai troppa esperienza,
Hai poca esperienza,
Sei troppo lento,
Sei troppo veloce,
Dovresti farti un esame di coscienza […]
Continua a leggere.
- di Marco Donzelli
Era come se qualcosa che era rimasto sospeso sopra di me fosse sparito, e anche se le cose non erano affatto risolte, provai la sensazione che almeno adesso si fosse aperto uno spiraglio verso un posto migliore.
- Kazuo Ishiguro, Non lasciarmi
Come direbbe un noto personaggio recentemente premiato con il Leone d'oro alla carriera: That's All Folks!
Buon weekend e ricordatevi di guardare nella cuccia del cane, che non si sa mai.