Benvenutə al centoquattordicesimo appuntamento di Fantastico!
In solo una settimana, la raccolta firme per il referendum sulla Cannabis ha raggiunto quota 500.000, la cifra limite che permette al quesito di andare al voto nella primavera del 2022. Non so voi, ma non sono riuscito a esultare più di tanto: mi son messo a pensare a cosa sarebbe potuto andare male nei passaggi successivi. Andare male nel senso: modi per impedire che la cosa proseguisse. Be' questa non l’avevo pensata:
“Delle 580 mila firme digitali raccolte in poco più di una settimana, solo una piccola parte è stata già certificata dai comuni con risposta inviata via Pec o via posta, malgrado la legge imponga alle amministrazioni comunali di elaborare la risposta al massimo entro 48 ore.”
Qui potete leggere tutto l’articolo.
Torna il format più amato dai cinghiali di Roma: le “3 domande a”. Oggi siamo felici di ospitare Alessia Dulbecco: pedagogista, formatrice e counsellor. Lavora e scrive sui temi della violenza intrafamiliare e sugli stereotipi di genere, realizzando interventi formativi su queste tematiche per enti, associazioni e cooperative. Ha collaborato con numerosi centri antiviolenza e scrive per L’indiscreto, Il Tascabile, The Vision.
3 domande a Alessia Dulbecco
Lavori da diversi anni per associazioni che si occupano di contrasto alla violenza di genere e educazione alle pari opportunità. Quanto è stato impattante il lockdown per chi già viveva una situazione di violenza domestica?
Il lockdown è stato incredibilmente impattante; era già abbastanza chiaro per gli addettə ai lavori nei mesi peggiori della pandemia, ad aprile del 2020, ma oggi lo possiamo proprio confermare, numeri e ricerche alla mano. Molte strategie che le donne mettevano in atto da anni e che funzionavano ‒ come il trascorrere tanto tempo fuori di casa ‒ ad un certo punto sono diventati vicoli ciechi. Aggiungi poi la pressione indotta dalla situazione così anomala e, purtroppo, il danno è stato fatto. La situazione è peggiorata per le persone che subivano violenza domestica, ma non solo per loro. Molti ragazzə, che prima potevano essere educati, attraverso i progetti che tante associazioni portavano nelle scuole, a relazioni affettive sane o quantomeno alternative (mettendo in discussione l’idea che ciò che potevano vivere o esperire a casa fosse "normale”) si sono ritrovati, di un giorno all’altro, privi di questo appoggio. Un gran bel problema.
In che modo le istituzioni riescono ad arginare il fenomeno e come potrebbero essere più incisive?
Personalmente credo che ci siano molte differenze e pertanto mi riesce difficile rispondere in maniera univoca. La regione in cui abito possiede numerosi CAV (ndr: centri antiviolenza), case rifugio e di seconda accoglienza oltre a un tessuto associativo fitto e strutturato che consente di raccogliere molte richieste e rispondere a altrettanti bisogni. Non credo sia così facile in altre regioni, dove magari il primo CAV a disposizione è a quaranta o sessanta chilometri di distanza. Da una decina d’anni le istituzioni provano a rispondere con le leggi ai problemi culturali e sociali del nostro paese (perché ricordiamo che la violenza di genere, così come quella verso le minoranze, è prima di tutto un problema sociale), ma sono scettica rispetto all’efficacia. Imporre uno strumento è utile nella misura in cui si sostiene anche un cambiamento. Nuove leggi (pensiamo solo a quella sullo stalking, o al reato relativo alla condivisione non consensuale di immagini intime) sono efficaci se vengono accompagnate da un processo educativo che aiuti le persone a rivedere i propri pattern di comportamento, decostruendo quelli che hanno fatto il loro tempo.
Perché in Italia il dialogo sugli stereotipi di genere è ancora così conflittuale? Mi sembra logico che possa essere complesso, ma quello che noto quotidianamente ‒ leggendo articoli o guardando un telegiornale ‒ è la continua riproposizione di un conflitto: come se i mezzi di informazione fossero rimasti indietro di svariati anni rispetto alla realtà culturale e sociale degli altri paesi europei e ci fosse una sorta di dissociazione tra il contrasto alla violenza di genere e la violenza verbale che si reitera anche solo nel trasmettere una notizia.
Noto anche io questa strana dissociazione. Nello stesso telegiornale in cui si parla del 25 novembre si possono trovare altri servizi, magari tragici perché riferiti all’ultimo femminicidio, in cui scorrono le immagini della vittima col suo assassino mentre il giornalista racconta che «All’origine della lite che ha portato all’omicidio pare vi sia stata la volontà della donna di separarsi». L’adesione a certi cambiamenti sociali è spesso solo formale. Abbiamo imparato che «Le donne non si toccano neppure con un fiore» e pertanto un femminicidio è un fatto terribile, ma non sappiamo leggere la complessità del fenomeno chiedendoci perché in Italia mediamente muoia una donna ogni tre giorni.
Molte persone aderiscono formalmente ad alcuni discorsi per questioni morali, ma poche sono disposte a mettere in discussione ciò che li sostiene. L’educazione di genere e il contrasto agli stereotipi, per esempio, sono ancora profondamente osteggiati in Italia. Intervenire a scuola con progetti specifici volti al loro contrasto (considerando le importanti ripercussioni che hanno sulla vita delle persone e sulle loro relazioni, nel medio-lungo termine) è spesso fantascienza. Credo che a molte persone lo status quo e il suo mantenimento faccia comodo. Chi ha un privilegio, magari da secoli, farà fatica a rinunciarvi; per cui è abbastanza comprensibile che ci sia una certa rigidità nel cambiare le cose. Il problema è che spesso anche chi da quel privilegio è escluso critica la possibilità di un cambiamento.
Personalmente credo che il cambiamento faccia paura. Fa paura pensare che, là fuori, ci sono persone trans o gender queer, fa paura pensare di dover uscire dallo schematismo maschio-femmina/blu-rosa/lei-lui su cui abbiamo conosciuto il mondo fino ad oggi. Abbiamo vissuto in una realtà semplificata fino all’estremo, che mentre ci proteggeva e ci cullava escludeva ‒ rendendo invisibili ‒ tantissime soggettività. È il momento di prenderne consapevolezza e provare a uscire da questo guscio. Magari potremmo scoprire che, poi, non si sta così male, là fuori, senza tutte queste barriere.
“Nel 2020 le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019, sia per telefono, sia via chat (+71%).
Il boom di chiamate si è avuto a partire da fine marzo, con picchi ad aprile (+176,9% rispetto allo stesso mese del 2019) e a maggio (+182,2 rispetto a maggio 2019), ma soprattutto in occasione del 25 novembre, la giornata in cui si ricorda la violenza contro le donne, anche per effetto della campagna mediatica. Nel 2020, questo picco, sempre presente negli anni, è stato decisamente più importante dato che, nella settimana tra il 23 e il 29 novembre del 2020, le chiamate sono più che raddoppiate (+114,1% rispetto al 2019).
La violenza segnalata quando si chiama il 1522 è soprattutto fisica (47,9% dei casi), ma quasi tutte le donne hanno subito più di una forma di violenza e tra queste emerge quella psicologica (50,5%).”
Qui trovate qualche altro dato sul tema.
Nessuno può capire nessuno: ogni merlo crede d'aver messo nel fischio un significato fondamentale per lui, ma che solo lui intende; l'altro gli ribatte qualcosa che non ha nessuna relazione con quello che lui ha detto; è un dialogo tra sordi, una conversazione senza capo né coda. Ma i dialoghi umani sono forse qualcosa di diverso?
- Italo Calvino, Palomar
Per questa settimana è tutto, buon weekend e ricordatevi di fare una standing ovation per Draghi ogni mattina rivolti verso la sede di Confindustria.