Benvenutə al centodiciottesimo appuntamento di Fantastico!
Io sono Urfidia, non so fare il varietà e dopo i cento solitamente mi viene la noia, oltre che la paura di perdere il conto. Fino a quando potrò andare avanti a contare? Ha senso poi contare? Per cosa? Per chi?
Sperando che queste domande vi trovino con una bella tazza di caffè bollente tra le mani vi rimando a un bellissimo pezzo di Emiliano Morgia che ci parla del "generalizzare".
Se vi siete sentiti un pochino confusi con la questione dei dadi, tranquilli, anche io l’ho letta tre volte prima di afferrare il concetto e ora va meglio ‒ anche se sento il bisogno di un secondo caffè.
E adesso vi propongo il format che ultimamente preferisco in assoluto: “Tre domande a…”: tre domande a bruciapelo per rompere il ghiaccio, ma soprattutto per incuriosire e portare altrove.
L’ospite di oggi è Tristan Guida: nato nel 1989, è una persona non binaria trans-masc e usa pronomi neutri e maschili. Ha studiato arabo per cinque anni, ma a oggi ricorda solo come si dice "frullato alla banana". Dopo aver scritto una tesi sui droni, è precipitato nella voragine del data entry. Ha una dipendenza da podcast e newsletter al punto da invadere quelle altrui. Su Instagram (@giu_stap_punto) e su Medium scrive di identità di genere, body liberation e transfemminismo.
Tristan è stato così gentile da fornirci delle risposte ricche ed esaustive e, nel contempo, ha avuto l’accortezza di scrivere un cappello introduttivo per non lasciare i lettori spiazzati: avercene di autori così attenti al pubblico!
Il percorso di transizione di genere in Italia è regolamentato dalla legge 164/82, successivamente modificata da due sentenze della Corte di Cassazione (15138/2015) e della Corte Costituzionale (221/2015) in cui è stato formalmente stabilito che, per tutelare l’integrità psico-fisica della persona in transizione, “il trattamento chirurgico di demolizione e ricostruzione degli organi sessuali non è indispensabile per rettificare l’attribuzione di sesso”. Nonostante i diritti acquisiti attraverso la prassi giurisprudenziale, per chi decide di intraprendere una transizione medicalizzata oltre che sociale l’accesso alla TOS (terapia ormonale sostitutiva) resta tuttora vincolato alla diagnosi di “disforia di genere” da parte di unx professionista della salute mentale, così come gli eventuali interventi chirurgici possono essere effettuati soltanto previa emissione della sentenza di autorizzazione alla rettificazione anagrafica del sesso da parte di un tribunale incaricato.
A mio parere, la psichiatrizzazione dell’identità transgenere e la binarizzazione coatta con il quale la si approccia restano le criticità maggiori per decostruire la narrazione stigmatizzante delle persone trans* come corpi sofferenti e disfunzionali, da “aggiustare” attraverso l’ausilio “caritatevole” della tecnologia medica e da “norma(lizz)are” tramite l’intervento dell’ufficio giudiziario. La transizione viene erroneamente raccontata come un percorso lineare dal polo maschile a quello femminile o viceversa all’interno di un sistema di produzione del soggetto sociale che è biologicamente determinato e fondato sulla sovrapposizione tra sesso e genere. Ma il potere dirompente del corpo trans* risiede proprio nella sua capacità di mettere in crisi il binarismo, permettendoci di pensare sia al genere che all’orientamento sesso-romantico come a dimensioni fluide della nostra identità, suscettibili di mutamento nello spazio-tempo. Per questo, sempre più spesso chi fa advocacy e attivismo per i diritti delle persone trans* parla di “affermazione di genere” anziché di transizione, una formula che veicola meglio sia il valore dell’autodeterminazione che la forza impoterante del viaggio piuttosto che porre l’accento sulla posizione di partenza e su quella di arrivo come luoghi statici dell’io.
Ciò detto, vi lascio alle tre domande:
Mi piace il discorso che si è creato attorno al cosiddetto "linguaggio inclusivo", ma quello che noto è che le persone direttamente interessate vengono per lo più silenziate da chi ha il megafono del privilegio. Come persona non binary tu cosa ne pensi? Come vivi le soluzioni adottate finora (schwa, asterisco, u, y, @ ecc.)?
Quando ho preso coscienza della mia identità di persona trans-masculine non binaria, mi sono domandato se continuare a utilizzare i pronomi femminili che mi sono stati assegnati alla nascita, cominciare a parlare di me esclusivamente al maschile, alternare l’uso del femminile e del maschile o cimentarmi con le proposte di linguaggio neutro che si stanno facendo strada nella rete. Se fossi madrelingua inglese, la mia scelta ricadrebbe senza esitazione sul they/them (pronome neutro di cui cominciano a spuntare traduzioni creative come lәi/lxi/l*i), ma in una lingua come la nostra che genderizza quasi ogni parte del discorso a eccezione delle interiezioni bisogna gestire qualche grattacapo in più.
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Nelle righe qui sopra si cita anche Alice Orrù, se ancora non la conoscete vi lascio una bellissima intervista a cura di Giulia Trapuzzano pubblicata sul quarto numero della rivista fantastica.
Direi che per questo week end è tutto, il viaggio di parole e curiosità ci ha portati lontani, dunque, non mi resta che augurarvi di calpestare tante foglie crocchianti d’autunno e di essere avvolti nella sciarpa più calda e morbida che ci sia.
Ci vediamo tra due settimane con il numero centodiciannove, ma non ci sarò ancora io a mettervi ansia col conteggio, bensì Sara Pilastro.