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Sono tempi cupi per i groupie di Putin, noi nel dubbio ci schieriamo dalla parte giusta della storia, quella di chi tifa pace, senza addentrarci in analisi che non ci competono.
La realtà è così tanta che ci esce dalle tasche e per affrontarla al meglio vi consigliamo di evadere il più possibile: anche con l’arte russa, anche i morti nel 1881, anche con ciò che rimane dopo 8 ore di lavoro.
La funzione dell’arte e l’esame di moralità
Tra Facebook e Instagram, in scorta alla vicenda Nori-Bicocca, ho difeso la libertà d’espressione culturale e del lavoro culturale, citando anche il direttore d’orchestra Valery Gergiev, uno che a Putin sta simpatico e viceversa.
Molti mi hanno fatto notare la reciproca simpatia per sottolineare come anche Gergiev potesse essere punibile per questo e, devo dire, è un appunto che non mi sorprende. Non mi sorprende perché dopo anni di propaganda dogmatica nel dividere la cultura creata dai buoni e quella creata dai cattivi, dopo anni di tentativi di rilettura dei prodotti culturali lontani decenni, secoli o millenni, dopo anni in cui il mondo digitale (ché quello IRL è discontinuo e troppo complesso per la pochezza di certo opinionismo) si è dato da fare per insistere in un discorso direttivo sul pubblico, ci siamo ritrovati a pensare alla produzione culturale come a qualcosa con fini esclusivamente pedagogici.
La produzione culturale (entro cui inserisco anche lo sport) può avere fini pedagogici, di sicuro non deve averli, altrettanto di sicuro non possiamo richiederglieli come validazione della sua bontà. Perché, risalendo la china, ci si dovrebbe chiedere qual è il sistema di valori condiviso a cui dovrebbe rispondere, e si sa che le strutture valoriali cambiano da persona a persona ed è pressoché impossibile costruire una morale comune all’infuori di pochissime cose, peraltro puntualmente smentite nella finzione artistica (i.e. l’omicidio, cfr: L’assassinio di Cézanne, La casa di carta di Netflix).
Giudicare moralmente l’arte è possibile, lo facciamo ogni volta che ne fruiamo. Durante la fruizione viviamo un’esperienza irriproducibile all’infuori di noi, difficilmente condivisibile, con cui proviamo a misurarci e a misurare il contesto in cui ci inseriamo con l’opera in quel dato momento. Insomma, è un caos e anche piacevole (tranne per La casa di carta che è monnezza).
Che Caravaggio fosse un mezzo criminale con qualche problema di salute mentale è risaputo, se fosse anche un misogino, un integralista religioso o uno che amava picchiare i bambini fatichiamo a dedurlo e, tutto sommato, ci interessa poco se non siamo suoi biografi. Che Gergiev tessa rapporti personali con Putin è un problema della sua morale a cui io non mi sento di fare il processo, vuoi perché Norimberga ci ha insegnato che sono i dittatori e i suoi gerarchi a dover essere processati mentre per tutti gli altri domandiamo pietà e cambiamento, vuoi perché non è solo una questione di garantismo è, appunto, la possibilità di avere singolarmente la capacità di aderire o meno alla conduzione d’orchestra di qualcuno che ci piace o meno, anche come umano. Di godere di un quadro dipinto da un criminale, di guardare una serie tv piena di morti ammazzati o un film in cui ci sono gli alieni (ridendo di chi pensa che gli alieni siano già tra noi).
E se l’idraulico che vi ha riparato lo sciacquone fosse di Casapound?
La storia insegna che sotto le dittature non è possibile essere felici, ma ci ritroviamo comunque a studiare Leni Riefenstahl (una nazista) e Guernica di Picasso (un maschilista), a dimostrazione di come prescindendo da questa chiave pedadogica naÏf la produzione culturale possa manifestarsi ugualmente con forza.
La storia insegna anche che sono i popoli ad autodeterminarsi, a scegliere i propri confini di libertà - molto ampi, speriamo - e di rigidità - molto poca, speriamo. La possibilità di accedere ad un pubblico vasto attraverso i social network ha fatto emergere invece una pletora di influencer che non vedono l’ora di indirizzare, insegnare, educare e, sopra ogni cosa, giudicare le vite altrui (ma chi non lo fa) con l’aggravante di dividere in fazioni (prassi molto cara ai regimi, il dividi et impera) così da ottenere ciò che è buono per loro e mettere all’indice ciò che è cattivo per tutti. Questo atteggiamento, se ci fate caso, è l’esatto contrario di ciò che produce l’arte come esperienza, ovvero una catarsi personale che cerca in tutti i modi di trovare un dato condivisibile con l’universo. La divisione dogmatica del social influencing (spesso prodotto da persone politicamente lib-left) invece crea catarsi collettive, fomentando la presa di parte aprioristica, eliminando la ruvida complessità della società, degli esseri umani.
La verticalità di questi discorsi da influencer è nulla di più e nulla di meno che una propaganda, come faceva Riefenstahl ma senza il suo ingegno. La direttività di queste persone è più simile all’autorità morale che all’autorevolezza critica. Il prodotto collettivo - in tutte le sfere della società - è un progressivo abbassamento della tolleranza per le diversità, anche quelle penose e di difficile giustificazione.
È, in fin dei conti, un giustizialismo morale proprio più delle dittature che delle democrazie e dei popoli liberi.
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Di Maio ha telefonato personalmente al Professor Dostoevskij per scusarsi a nome dell'Italia.
Che cosa rimane
Che cosa rimane dopo le otto ore, dopo la sedia nuova con ruote e braccioli. Un libro che non leggi perché preferisci annullarti davanti al computer, un libro che scrivi solo la domenica in un bar dopo esserti fatto violenza per uscire di casa, rientrare è altrettanto difficile ma devi far posto a chi ha qualcosa da dire; un pensiero bello arrivato all’improvviso ma perso perché non te lo appunti mai, un pensiero fisso che non hai bisogno di appuntarti, è una macchia sul soffitto; la consapevolezza del disastro in arrivo, da ogni direzione, ma degli step della vita che vanno fatti comunque, perché non sia mai signora mia, se ti do un proverbio tu mi dai una frase fatta così completo l’album del quieto vivere, poi lo metto in vendita su Vinted, chi si accontenta gode, chi gode se lo è meritato, fidati, se vuoi puoi; la consapevolezza che tanto tra poco non vedrai più nulla, dopo aver visto ben poco anche prima, l’idea che forse salendo le scale una sera ci rimani e allora chi te lo fa fare di accettare ancora tutto questo; Ciccio Graziani, Lillo & Greg, Mani Pulite prima di mangiare, no vax, no tax, con il cuore con il culo Bella ciao ciao, la gara a chi sta male, la gara a chi sta bene per finta, un’immagine salvata da non poter dare a nessuno, una decenza da salvare che non vuole nessuno, prima le donne e i bocchini, facile.it, un concorso pubblico, le foto del cane, del figlio, dello spirito, un santo, un apostolo, un bonus 110%, un mese quattro lauree, quattro mesi uno stipendio, il pacco da giù, la merda da su, un’offerta Ryanair per non andare in vacanza, un episodio pilota con le vertigini, ricordati le mozzarelle sono buone e scade il mese gratuito di Amazon Prime, LOL — chi piange è fuori, ti porto a vedere le luci della Conad, ho visto un posto che mi piace si chiama Congo, Burkina NATO, Papua Nuova Crimea, lu cancro, lu mare, lu viento, un meme per ridere ma anche pensare e poi ricominciare, sempre uguale, una canzone degli Arcade Fire. Mano pronta, svuota spam.
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Beh, che dire? Quale miglior saluto a questa settimana se non con una finta citazione?
Ho sempre amato i Joy Division. Ricordo che una volta, nel lontano 1986, facevo pianobar in un locale di Cortina ed ero preso malissimo. La gente intorno a me si divertiva ma io non avevo voglia. Presi coraggio ed iniziai a suonare "Love will tear us apart". Iniziai a sentirmi meglio ma le persone smisero di cantare e il proprietario mi guardò contrariato. Una signora mi si avvicinò e mi chiese "Maracaibo". Con la morte nel cuore la accontentai, ripresero tutti a ballare e il proprietario mi portò sorridendo un Cuba Libre.
– Jerry Calà (fonte)