Fantastico! #2, la rivista
Benvenuti al secondo numero di Fantastico!, la rivista.
Io sono bebo e questo è il secondo passo di un viaggio che non promettiamo breve.
Abbiamo imparato molto dal primo numero, dedicandoci ancora più cura ed impegno. Abbiamo lasciato che la newsletter continuasse il viaggio d’avanscoperta nelle letterature ancora in divenire, per volgere lo sguardo verso quei nomi, quelle cose e quelle città che già si conformano all’orizzonte, ma che per motivi spesso misteriosi restano lontane. È l’idea stessa di orizzonte che accompagna l’estate: quello infuocato al tramonto che brucia gli occhi e quello temporale che sembra dilatarsi eppure svanire in un attimo. Abbiamo cercato di giocare con tutte le dimensioni, spostando ancora di più l’asticella dell’ambizione nel portarvi per mano in un percorso disorganico ma mai impacciato, provando ad uscire una buona volta dalle negatività del post-lockdown per cercare di recuperare un dato-futuro. Un’impressione. Qualcosa che per un secondo c’è e poi scompare tra un pensiero e l’altro, lasciando una traccia. Quel dato-futuro di cui abbiamo bisogno tutti, per tornare a coniugare non solo la con la lingua ai verrò, amerò, farò ma anche per stimolare una profezia che si avveri domani. Che bel posto, domani.
Questa è l’elaborazione del domani che abbiamo costruito negli scorsi tre mesi, ci piace lasciarvela qui perché possa andare ad aggiungersi ai vostri domani.
Questo è il secondo numero di Fantastico!, la rivista.
Durante la chiusura del numero, la nostra grafica Veronica, ha avuto un piccolo problema di salute (rimettiti in forma presto!) ed è capitata una cosa strana, una di quelle coincidenze che sembrano raccontare meglio di tante scelte, quello che si fa: il pezzo di Johnny Shock è rimasto fuori malgrado i tempi ci avessero permesso di inserirlo. È un pezzo che parla di rilettura del tempo e di quel processo sotterraneo che ci permette di cercare, ancora una volta, un ordine sensibile dentro di noi.
Ci siamo ritrovati con una prefazione ideologicamente perfetta a queste cento e più pagine. Saranno quindi le sue le parole ad aprire il secondo numero, noi invece vi ringraziamo con il cuore in mano e cominciamo a preparare il terzo passo di questo Fantastico viaggio.
CON IL CUORE IN MANO
di Johnny Shock
Dover iniziare è sempre molto difficile. È molto difficile, specie quando fai questo genere di discorsi: sei sempre costretto ad esporti, a scoprirti per primo, a fare un passo avanti verso l’altro e non saprai mai come potrebbe reagire a riguardo. Molto spesso, quando lo faccio, gli altri reagiscono dandomi del coglione.
Dover iniziare è sempre molto difficile, per questo prenderò la strada più semplice e inizierò dalla fine: questa storia termina con un bacio. Ma non con uno qualsiasi, dato di sfuggita prima di correre sui binari, o uno scambiato ad una festa con una persona quasi sconosciuta che, per qualche strano motivo, mi sarebbe rimasta in testa per tutti gli anni seguenti. Sto parlando del primo, in ordine cronologico. Il primo, quello che la narrazione classica vuole essere un momento fondamentale nel passaggio alla fase adolescenziale e che deve essere dato tassativamente in un’occasione speciale e, un po’ come tutte le prime volte, ad una persona per cui si provino dei sentimenti forti, se non fortissimi. In aggiunta a tutta un’altra serie di teorie sull’amore sincero che tu, quando sei ragazzino, ti chiedi (anche un po’ scettico) se quando sarai più grande te ne ricorderai davvero e poi è proprio così, perché ora ho ventitré anni e sto ancora a rimuginarci sopra.
È il 2010, ho tredici anni e nessuna conoscenza – anche vaga sarebbe stato un successo – di come si stia al mondo, ma soprattutto nessuna aspettativa nei confronti di quella che sarebbe stata una delle estati più importanti di sempre. Mi prendo una sbandata gigantesca per una ragazzina di un anno più piccola di me che non avevo mai visto prima ma che, per un giro di amici comuni, quell’anno frequenta gli stessi ambienti della mia compagnia. Passiamo insieme una quantità di ore infinita ad andare in piscina, divertirci, giocare, stare al bar ed annoiarci e io, quando sto con lei, sento che qualcosa mi monta dentro al petto iniziando a farsi spazio, fino ad occupare tutto il posto, tanto che alle volte, quando le parlo, mi manca il fiato e le frasi si troncano prima della fine. Non so di preciso come reagire, questa sensazione mi affascina e mi mette parecchio in imbarazzo, perché sistematicamente risulto goffo o inappropriato. In quel periodo inizio a scrivere un diario segreto nel quale cerco di farmi autoanalisi e provo a mettere su carta i miei pensieri per poterli ordinare. Come preciso nella prima pagina: “proverò a parlare con il cuore in mano”, consapevole del fatto che non lo avrebbe mai letto nessuno, me compreso. Una sera come tante usciamo con la solita compagnia e, mentre tutti si dirigono verso la parte illuminata del campetto per sedersi a parlare, noi rallentiamo il passo e ci distacchiamo dal gruppo. La prendo da parte e, con una spontaneità di cui mi stupisco anche io, ci baciamo. È un gesto così innocentemente incomprensibile che devo ripeterlo per altre tre o quattro volte, prima di realizzare cosa stia succedendo.
Ma, come dicevo, la storia si conclude qui. Come molti altri capitoli estivi che godono di una vita propria: le storie d’amore da campeggio, i tormentoni alla radio, i “quest’anno mi laureo”, le speranze sul futuro... Io mica l’avevo capito che fosse già finita. Ero convinto che ci sarebbe stato uno sviluppo ulteriore, invece lei era sparita e non eravamo ancora così tanto legati ai social da poterci tenere in contatto. Finii con lo spendere in ricariche del telefono i pochi soldi che avevo, scrivendole SMS chilometrici sulla necessità che avevo di vederla e parlarle. Quasi mai ho ricevuto delle risposte, che comunque erano sempre molto evasive. Non avevo capito che non c’era storia e, anche se abitavamo in due paesi molto vicini tra loro, mi sembrava che fossimo distantissimi. Ma a tredici anni questo bastava e avanzava per farmi sentire smarrito.
Aspettai un anno intero, confidando nella possibilità di poterla incontrare l’estate successiva, ma ancora niente. Così il tempo scorreva e, a poco a poco, il desiderio di incontrarla per poterle parlare di quello che provavo per lei si era trasformato nella speranza di poterle chiedere perché fosse sparita così, senza dire niente, facendo appassire quello che, prima di trasformarsi in un innamoramento, per me era un legame di amicizia molto importante.
Ogni tanto, nel corso degli anni, ci incrociavamo per caso di sabato sera lungo le strade di Cremona, ma eravamo sempre con le rispettive compagnie e, a parte un saluto accennato di sfuggita, non riuscivamo a parlare. Tornato a casa, riflettevo sul da farsi, convenendo sempre che scrivere un messaggio per dirle: “Ciao, sono quello che hai baciato una sera di otto anni fa, volevo sapere perché fossi sparita. Sappi che io ci tenevo a quel rapporto.” non fosse la mossa migliore da fare. Ci dormivo sopra e non ci pensavo più.
Qualche sera fa ero al bar con gli amici e stavamo parlando, per puro caso, di quel periodo della nostra vita, sorvolando di proposito la tematica sentimentale. Uno di noi, con cui ai tempi non uscivamo, ha detto che era una coincidenza che proprio in quei giorni, avesse cominciato a frequentarsi con la ragazza in questione e che aveva intenzione di portarla al bar per passare del tempo tutti insieme. Ho detto che mi avrebbe fatto piacere, ma sentivo che qualcosa non andava. Avevo paura che qualcosa sarebbe andato storto: credevo non ce l’avrei fatta a reggere emotivamente una notizia del genere e che non mi sarei presentato al bar, oppure che non avrei avuto il coraggio di guardarla negli occhi per tutta la serata.
La sera seguente, infatti, entrano insieme, con quell’affinità caratteristica che ho sempre invidiato alle coppie rodate. Una visione del genere, dieci anni prima mi avrebbe fatto patire le pene dell’inferno: sarei tornato a casa e mi sarei gettato a letto in lacrime, dominato da un misto di rabbia, invidia e gelosia. E invece, niente. Ci guardiamo negli occhi per un po’, dopo dieci anni di assenza. E non vedo niente. Dovrei dirle una quantità infinita di cose, chiederle come sta e farle tutti quei discorsi che avevo immaginato, ma che non avevo mai avuto l’occasione di chiudere a tempo debito. E non mi va per niente.
Durante la serata non dice molto, parla solo di qualche argomento circoscritto: i tatuaggi, il lavoro e che fine abbiano fatto dei nostri amici comuni che non vediamo da tempo. Non riesco a capacitarmene ma, anche impegnandomi, non riesco ad appassionarmi ai suoi discorsi come dieci anni fa: non mi viene voglia di avere una conversazione privata con lei e quando le parlo non mi manca più il fiato. Più che stupirmi della sua presenza qui, mi stupisco della mia incapacità di stupirmi riguardo un evento del genere. Realizzo solo in quel momento che ho passato gli ultimi dieci anni della mia vita a cercare di colmare un’assenza che mi rendo conto non esistere proprio nel momento in cui la guardo, ora, davanti a me, senza idealizzarla. Mi rendo conto di aver esagerato nella proiezione e che, negli anni, entrambi eravamo cambiati, che ormai non ci conoscevamo più e che io, in tutto quel tempo, mi ero fatto delle gran domande e mi ero angosciato per nulla.
Immaginate. Immaginate tutto intorno a voi una distesa di fiori, ma sono tutti secchi. Immaginate di andare in vacanza per dieci anni e, quando tornate, il giardino di fianco a casa è stato sostituito da un parcheggio. Immaginate di cercare per dieci anni una lampadina su uno scaffale, per poi rendervi conto che quella che dovevate sostituire non si era bruciata.
Immaginate me. Me, che torno a casa emotivamente prosciugato e che, contro ogni senso, riprendo in mano il diario, quello di dieci anni prima che anche lui, contro ogni senso, è ancora lì.
19 agosto 2010: "Anche adesso, solo a pensare che ieri sera ci stavamo baciando e che per un po' non potrò più rivederla, mi viene voglia di scappare di casa. Mi manca già. Mi manca già tutto di lei: la sua risata, quegli occhietti piccoli con cui mi guarda dal basso, il modo con cui si appoggia alla mia spalla. Mi manca l'incontro scoordinato delle sue labbra con le mie e il modo strano in cui le vibra il naso quando ci baciamo. Dopo ieri sera sono rinato, mi sento benissimo, non sento più il bisogno della Play o del computer. Ma senza di lei, ormai, tutto il resto è inutile".
Sorrido. Penso a quanto ero ingenuo e mi sento sollevato. Strano, ma sollevato. Tiro un sospiro lungo e sento tutti i muscoli che si distendono. Apro la finestra, guardo fuori e mi dico che sto bene.