Foresta
D’estate, quando mi sveglio nel cuore della notte, la prima cosa che sento è il respiro regolare. Il fiato lento e pesante di chi dorme, inesorabile come la corrente; il petto che si alza e si abbassa a ritmo, inspira, espira, inspira, espira.
Poi tendo l’orecchio e sento i grilli, fuori nella via, tra i giardini. Così rilassanti, pare di stare in una poesia. Non so perché mi sveglio, a volte do la colpa ai sogni, penso di aver avuto un incubo oppure incolpo il cane che ha fatto cigolare il parquet cambiando posizione sulla cuccia. Allungo la mano e sento il tartufo secco, stava dormendo, immagino al buio la sua forma e passo la mano tra le orecchie, due grattini ben assestati e arriva la lingua umida a dirmi che va tutto bene, che, se solo volessi, potrei riaddormentarmi. Cambio posizione. Sprimaccio il cuscino, sistemo le lenzuola. Mi rigiro ancora nel letto.
Quanta quiete di notte.
Di giorno ci sono così tante cose da fare.
Mentre la notte c’è solo il frinire dei grilli, il respiro di chi dorme, la notte sono sola e non posso dormire. La notte, lo so, posso sopravvivere a tutto meno che a me stessa. Mi piace la notte, perché c’è silenzio, c’è tempo per pensare; perché posso guardare fuori dalla finestra per ore, studiando il vento che muove le foglie. Un tempo accendevo la luce e mi mettevo a leggere. Scappavo in un’altra storia, diversa dalla mia e questo mi bastava. Adesso no. La notte ci sono solo io e questo mi inquieta non poco, però aspetto l’alba, arriva sempre, quando sorge il sole mi addormento, dormo per poco, un’oretta al massimo. La notte a volte fantastico di alzarmi e bere qualcosa, come fanno nei film, ma poi resto a letto, non trovo la forza di alzarmi nemmeno per fare pipì. Se mi scappa la trattengo. Alzarmi significherebbe arrendermi. Significherebbe mettere in moto il corpo, riattivare la coscienza corporea, chi sono io, cosa faccio, sono la moglie di, la figlia di, la madre di, sono la sorella, l’amica, l’amante. Alzarmi significherebbe farmi carico nuovamente di tutte le scelte. Se mi scappa la trattengo e non sono nessuno, solo un’ombra dentro a un letto e se sogno sono incubi che non voglio ricordare. Sogno, ma poi mi sveglio di nuovo, i grilli ancora fuori nel buio, in mezzo alle foglie dell’oleandro. Dentro di me foreste di alberi altissimi, dal tronco robusto, forse non sono alberi, ma radici nere, il cielo non si vede, è coperto dai rami, qui non ci sono grilli.
Accarezzo il lenzuolo stropicciato, solo per il piacere tattile del sentirne il cotone, sentire ordito e trama, corposi, reali. Non ho fretta, ci saranno altre notti in cui dormire e altro buio da affrontare e sarò sempre qui, ombra distesa che guarda il soffitto. Il soffitto come un mare, i fari delle auto si fanno onde attraverso le tapparelle. Aspetto l’alba e la sveglia, non ho fretta, la notte non ha fretta, è lunga, è lenta, chi può dorme, chi non può aspetta, la sveglia suonerà lo stesso, come ogni mattina. Ma adesso è notte, sono sola e devo sopravvivermi.