Forno statico a 180°
Una mattina mi sono svegliata con l’idea di seppellirti, ti ho fatto fuori giusto per poter sopravvivere al tuo passaggio.
Così ho organizzato mentalmente una cerimonia funebre. Ho preso i migliori ricordi, i migliori dialoghi del nostro film, li ho tagliati e assemblati in qualcosa che avrebbe potuto essere uno splendido video clip (trip)mentale, ma che nella realtà era più simile a una puntata di Blob. Sicuramente ironico ed estremamente inquietante.
Ho raccolto i pomodori, li ho sbollentati e mi sono scottata le dita nello spellarli, mentre ascoltavo le canzoni che ci dedicavamo a distanza. Ho pianto tagliando la cipolla quando la playlist mi ha vomitato sul tagliere Battiato. Quanta crudeltà, ma era colpa della cipolla.
E nel profumo del soffritto ho sorriso al pensiero del tuo sorriso. Ho buttato nella casseruola la carne trita e fatto rosolare bene, mentre passavo in rassegna i “mai più”: non ti risponderò mai più, non ci vedremo mai più, non vorrò mai più sapere nulla di te. Ti seppellisco sotto una montagna di ragù, ma prima va aggiustato di sale, con una teglia di lasagne; so che apprezzeresti, ecco forse non quanto una carbonara fatta con tutti i sacri crismi, ma l’orto è pieno di pomodori e non si butta via nulla. Apprezzeresti comunque i miei fianchi caldi davanti ai fornelli, mentre ballo e canticchio, coi capelli che sanno di casa. Potrei effettivamente cucinarti qualsiasi cosa e mangeresti col solito appetito da cinghiale. Non sei mai stato una forchetta gourmet, tutt’al più un rutto da osteria. E adoreresti questa definizione, se solo fossi qui, ma ormai sei morto, posso solo rassegnarmi all’assenza.
Ho conservato il tuo numero e i tuoi contatti social fino ad ora, perché prima o poi torni sempre, perché quando torni io sono sempre qui e non sono capace di dirti no – a meno che tu non morissi nel mio cervello ed è per questo che adesso siamo alla tua messa funebre. Cancello ogni contatto da qualsiasi diabolica applicazione, quando tornerai a scrivermi sul display apparirà solo un numero sconosciuto, mentre il tuo nome sarà inciso sulla lapide. I morti non tornano. Penserò a un maniaco, a uno sconosciuto ubriaco che mi scrive la notte. A uno che ha perduto il senno e vuole ritrovarlo tra le mie braccia. Penserò che non mi riguarda e non risponderò, non mi struggerò, forse il giorno dopo avrò voglia di pancake, ma non mi immolerò nell’infornare torte megalomani. Non mi scapicollerò verso la stazione, non porterò pazienza e comprensione. Non mi farò travolgere dal fiume di detriti che scivola a valle, no. Tutto questo finisce qui, nella mia cucina su misura e finisce oggi, tutto questo termina nella teglia di lasagne in forno statico a 180º per 20 minuti. E non si tratta di amor proprio, di rispetto e dignità, bensì di lucidità, di comprensione dei propri limiti. Mi fermo prima che l’amore diventi odio, mi arrendo e conservo il tuo ricordo come l’ultimo barattolo di passata nella dispensa, quando l’inverno sta per finire. Una cosa cara, che va consumata.
Quello che resta è il vasetto vuoto, trasparente, che si lava, si asciuga e si mette via per la prossima estate.