Frammentario numero 1
Sì, tutto è veloce.
Veniamo catapultati nel mondo dei "grandi" senza ragione alcuna o collegamento con la precedente vita passata. Ci si ricorda quando si era piccoli, ci si ricorda quali erano i problemi che affiggevano la mente da piccolo alunno a piccolo liceale. Il pianto liberatorio dopo l’orale della maturità, quando la professoressa ti ha detto di nascosto che avevi fatto un buon lavoro e avevi preso il massimo.
Abbi fiducia dicevano tutti. Io non ne avevo, non ascoltavo nessuno; ero nella mia scatola di vetro, nessuno poteva toccarmi davvero e io non volevo toccare nessuno. Il sesso impersonale, le parole buttate al vento, nascondendo tutta l’empatia e la sensibilità che mi avrebbe probabilmente distrutto la vita. Cristallizzo il passato in una bellissima scultura che brilla al sole. La guardo con orgoglio, malinconia, con un sorriso pieno di lacrime.
Avrei voluto solo molti più silenzi, molta più forza nello spirito, per guarirlo prima. Per guardare davvero, per sentire tutto davvero. “Sono sempre in ritardo”: me lo ripeto spesso.
Ma ad un certo punto è successo, la scatola si è rotta. Sono arrivate le medicine, gli ospedali, i tentati suicidi finiti sempre male. Un’ignava. Priva di coraggio, priva della forza di farla finita e di mettersi a vedere che sarebbe successo poi. Preferivo tenere gli occhi chiusi, il cuore chiuso. I filtri della mia anima erano occlusi come il mio seno mascellare destro. Operazione che intanto continuo tutt’oggi a rimandare. Ho iniziato piano piano a guarire lo spirito, a farmi le ossa, a tenere lo sguardo fisso. A non abbassarmi. Mai.
Ciao mamma ciao papà, benvenuto 730.
Cantiamoci sopra perché la musica è l'unica arte che ancora non si è spezzata sotto la forca del capitalismo più rapido, più istantaneo più efficiente. Leggiamo perché la letteratura sarà l’ultima a morire.
(Da economista dico la prima cosa che ti insegnano è che le cose devono essere efficaci oltre che efficienti.)
Si entra nella macchina più veloce rapida e sensazionale fatta di formiche che raccolgono il pane fatta di volti e di facce diverse, di un' efficacia che viene lasciata a casa, cercando purtroppo talvolta molti compromessi con se stessi. Non c’è tempo per capire, si capisce facendo. Non c’è tempo per le elucubrazioni e i sentimenti.
Forse mi sono svegliata troppo tardi.
Molta solitudine, molta lontananza.
I rapporti cambiano, le sceneggiature anche, di continuo. Le persone si allontanano, si avvicinano; spariscono e riappaiono. Gli affetti si modificano come con il didò. Vengono plasmate dagli anni, dalle decisioni che si prendono, dal brulicare di teste, cuori, sentimenti, compromessi. Decisioni. Tutto cambia eppure tutto è come prima se si guarda dentro quella porta che non si ha mai (o quasi) il coraggio di aprire. Dove non si vuole poggiare nemmeno lo sguardo, altrimenti si innescherebbe un pianto silenzioso che contorna un bel nodo alla gola.
La scatola si è rotta in mille pezzi, frammenti appuntiti che al sole brillano. Ora posso toccare le cose, liberare le emozioni e lasciarle correre come lucertole al sole. Posso coltivare le relazioni con il cuore aperto, armata dai filtri del mio cervello. Le protezioni si fanno più intelligenti e sagge. “questo si, quello no.” Imparare a dire no è come imparare a dire sì: a sé stessi e agli altri, essendo più clementi con il proprio spirito e il proprio corpo. “Curare l’anima”, dicevano.
Tante volte nessuno sa dove vorrebbe vivere dove vorrebbe andare. Cosa ne sarà di quello che ho costruito fin ora?
Sì perché c'è un 'finora'. C'è perché tutto si rivolta dalla tua parte. Ora anche tu fai parte della macchina brulicante, dove i sogni scendono a patti con il denaro il cui ammontare diventa sempre più piccolo e conti i soldi per comprarti il tabacco. “Senza nome bianco per favore”.
Cresci sognando, Cresci faticando ti sbattono una vita diversa in faccia così come se fosse nulla.
Ti dicono andrà bene. Tu ad un certo punto ci credi. Sai che i piani te li devi costruire tu, in altezza e anche in ampiezza. Se smetti di sognare sei fottuto, se smetti di produrre sei morto.
Ci vuole fatica e ci vuole coraggio. Il nodo in gola non passa sempre facilmente; occorre spesso molto silenzio, molti giorni di solitudine, specchiandosi nei più profondi specchi della propria esistenza. Si cerca la propria spiritualità, si incanalano le energie. Uno zaino sulle spalle al caldo e le vesciche ai piedi. Le corse verso il bisogno dell’illusione di libertà e libero arbitrio. Un po’ come la mia lavatrice, i cui minuti di lavaggio sono sempre relativi e ingannevoli. Aspetti un’ora e sedici minuti ma in realtà è sempre un’ora e mezza.
Sai che i piani te li puoi costruire solo tu. Prima per sopravvivere. Poi per viverci dentro. Magari anche un po' comodo eh, ad un certo punto.
Basta shampoo della Conad per favore, non scherziamo. Il mio stomaco poi certe cose non le digerisce più e le fette al latte finiscono sempre troppo presto. Non potrebbero fare la versione da trenta centimetri?
Alla "Voglio essere radical vegan come posso", rispondo con la mia paga e alzo la testa. Basta cazzate per favore, basta costruzioni e dettami esterni. Guardo al mio spirito. Talvolta vedo solo il vuoto, ma non è poi cosi male. Un giorno alla volta e mille sogni insieme.
Allora io dico fanculo, mi taglio i capelli da sola. Come viene, viene. Mi faccio tatuare sulla pelle i miei memento: la mia spiritualità, i miei morti, le mie guarigioni. La ginestra, ovvero la resistenza. Mi curo con i libri.
Cazzo se Leopardi avesse scopato di più e vissuto più a lungo, chissà cosa avrebbe scritto!
Cortàzar mi ha insegnato la pazienza e la volubilità dell’animo umano. Bolano mi ha insegnato l’arte del samurai che aspetta in silenzio. Màrquez la precisione e l’amore.
Mi arrampico sui muri rendendo i miei dorsali sempre più forti. Sento di avere dei muscoli che prima non pareva ci fossero neanche.
Ah, a proposito di macchine: Il tuo telefono sente le parole che dici? O almeno ci hai mai pensato a questa cosa?
Se sì allora siamo al punto di dire che la macchina è ancora più veloce dell'uomo.
Il suo declino sarà lentissimo. Il nostro paradossalmente più veloce.
Qui io tornerei alla musica. Perché ci tornerei e basta. O agli artigiani dei libri, costruttori di volumi di inizio Novecento. Le misure, le pagine, la carta, la cura.
Aah. Sì. Così va meglio e mi calmo. Faccio un respiro profondo, sospiro e penso a tutto quello che mi circonda adesso. O che io circondo.
Un po' il tempo rallenta un po' ci si può ancora sopportare. Si può ancora sopportare.
Quello che mi sta sul cazzo è che di sicuro ci morirò dentro questa macchina.
Ma sarà con onore.
Con “la stessa faccia da cazzo dei pischelli che ora vedo in giro.”