Prendi, sposta, cambia,
alza il faro, tira i cavi.
Un altro palco, un'altra serata che scorre via
nell'incanto dei vostri nasi all'insù.
I freaks sono arrivati in città
e danno quel che hanno.
Costumi grotteschi, volti bianchi imbellettati
di un trucco troppo pesante
un sorriso di rossetto esagerato
a mascherar la malinconia dei buffoni.
Giù la carovana, su la scena,
quattro giorni qui e poi via ancora.
Chissà dove, chissà se.
Signore e signori, tra poco avrà inizio lo spettacolo.
Non ne abbiano del nostro essere
niente più che questo baraccone.
Altro non sappiamo fare che il mestiere:
ostentare per compiacere.
E ci perdonino se ancor crediamo
che possa un po' di meraviglia
risollevare la miseria della disillusione.
I nomadi sono arrivati in città, eterni ospiti discreti. Sempre in viaggio, stretti a bordo di un baraccone assemblato in un giorno d’estate, un pezzo dopo l'altro e via senza esitare. Si fermano, qualche volta, ma mai per sempre. Un nomade non ha terra, o ce l’ha tutta, ma non se lo chiede. Cantano di magie e di altro diverso da ciò che può capire chi ogni sera percorre la stessa via di casa. Egocentrici, narcisisti dal cuore sognante, analfabeti della vita sedentaria, si raccontano con il solo linguaggio che conoscono. Tutto quel che possiedono sono i loro corpi, meri strumenti dei loro saperi, e il consenso di un teatro gremito. Debuttano qui e da qui ripartiranno con in mano una manciata di biglietti strappati, unica certezza di una vita senza casa. Ingordi d’ applausi, pronti a darsi sempre come bambini ingenui nelle braccia di chi li elogia.
Il vecchio batte forte le mani: è ora. Fa un cenno al tecnico: cinque minuti e si inizia. Solleva l'angolo della tenda per fare entrare il pubblico. Volti locali, brusii di accenti stranieri, foresti curiosi, camminano piano guardandosi attorno nel buio della sala per scegliere il miglior posto a sedere.
- Lor signori, lo spettacolo ha inizio!
Il tecnico sbuffa un respiro corto e deciso, l'ultimo prima di sollevare il cursore. Si accendono le luci sui cinque sgarrupati. Un fascio luminoso fa brillare gli ottoni del musico. C'è un momento preciso, pochi frammenti di secondo prima che la magia inizi, in cui tutto sembra congelarsi in un silenzio onirico. L'attricetta con le piume in testa riesce a sentirsi i battiti cardiaci, i respiri affannati scandiscono le parole fissate nella memoria. La cantante carioca stringe la gola pronta a virtuosismi d’amore. Il musico, il buffone e l'acrobata sono lì: anime nude e illuminate, bestie vulnerabili sottoposte al giudizio. Disadattati sociali che esistono solo in un mondo incantato, che si anima al battito di mani di umani elettrizzati.
E quando scende la sera, con la luna riflessa sul laghetto accanto alle carovane degli artisti, l'attricetta nella sua carovana ascolta il ticchettio dell’acqua cadere dal tetto in legno al secchio in rame, sistemato accanto ai suoi piedi. Solo una candela le illumina il sorriso vuoto. L’immagine riflessa nello specchio trema ad ogni spiffero d’aria che scuote la fiamma. L’ovatta, imbevuta d’olio di mandorla, scioglie il trucco dopo lo spettacolo. Via la polvere di porpora. Via il rossetto. Le guance tornano pallide. Le labbra rosa tenue. Si spegne la magia e non resta che un altro viaggio.