Giugulare, ovvero quando ho preso coscienza del fatto che Roberto Bolaño è morto
Com’è corta questa notte
così corta da non poter recuperare le forze.
Le luci dei caricabatterie
s’incollano alle sporgenze della casa
abortiscono ombre
seducono la mente
la battono a calci sulla schiena
la stuprano senza che ci sia nessuno intorno
verso cui invocare aiuto.
Vorrei avere più tempo
non tornare indietro alle notti curve sulla sedia
bicchiere alla mano
l’altra intenta a brancicare dentro i pantaloni
non tornare a genuflettermi difronte a una bottiglia
pregandola di aspergermi le vene
aperte a ogni forma d’intossicazione
uguale ad un’altra.
Com’è corta questa notte
così corta che vi sono stretto dentro
Le sue fauci ottuse pronte
circuiscono la giugulare.
Così corta che non vi è modo di fuggirla
se non strizzare gli occhi contro la loro volontà
se non cadere in deliquio recalcitrando il respiro
se non lasciarsi mordere nel mezzo del collo
per non vedere il sole sorgere su tetti di brina
per non ricominciare daccapo
questo spostarsi in due sole direzioni
per non trovarsi allo stesso punto
con una notte appesa per i denti
Vorrei poter levitare
così da non far del male a nessuno.
Resterei solo io
con la zavorra del male che m’infliggo
con questo male che porto addosso e mi getta a terra.
Non esistono molti modi per evadere
a sporcarmi il naso di bianco non vedo alcuna attrattiva
degli aghi ho un terrore primitivo
di alcool ne ho abusato a sufficienza
e il fumo serve solo a dare ritmo al tempo che fugge
o ad accompagnare il tedio che rende inermi.
Quindi provo a scriverlo
qua, sopra una federa stropicciata
le coperte attorcigliate a lasciare le estremità esposte
di questa notte a tenaglia
di queste buie ore soffocanti
di questo palliativo dello stare orizzontali
per lenire il dolore
che non viene mai meno.
E Roberto Bolaño è morto.