Ti hanno fatto indossare una camicia da notte bianca e leggera, sottile al punto da rivelare che una tenue forma corporea ci è strisciata sotto, nuda, pallida d'ipotensione, tremante di freddo e grondante d'angoscia.
Sei al centro d'un corridoio rosa neutrale, giri su te stessa fingendoti prima alfiere e poi cavallo tra le piastrelle montate a casaccio sul pavimento e ad ogni rotazione del busto la veste si solleva appena e rivela spiragli di cosce.
Hai tagliato i capelli da poco e li hai tinti di nero e di bosco, li hai falciati di netto come fossero grano e li hai lasciati lì a polverizzare il pattume, nascondendo per sempre un rosso orientale di henné che profuma di fieno, quando è fresco.
Adesso procedi con molta cautela lungo quel corridoio, un passo alla volta da bravo pedone e non hai avversari da spingere a terra, seppure diverse creature ti striscino al fianco, ma senti il tepore attraverso i calzini già un poco usurati e quando arrivi in fondo getti uno sguardo all'esterno attraverso la grande finestra e torni a ruotare.
Se chiudi gli occhi riesci a concentrarti su rapidi passi ovattati e su sporadici suoni strillanti di gente che preme un bottone in richiesta d'aiuto, se li apri vedi fluidi procedere attraverso le vene nei corpi di donna, sagome deformate pronte a fabbricare la vita.
L'odore di marcio si nasconde dietro a ventate di farmaci e metallo, di liquidi chimici nascosti in sacche di plastica. Non riesci a fermare le combinazioni dei tuoi movimenti algoritmici che ti fanno avvertire il caldo all'ennesima potenza e ti senti priva di fiato, vorresti che qualcuno respirasse per te, che un soffio raggiungesse le tue narici ad una pressione sufficiente a sollevarti ritmicamente il torace e a riempirti i polmoni dei gas necessari.
Nascondi alla base della lingua una pillola bianca che appena si scioglie ti punge il palato e ti riempie le guance di granuli amari che sembrano moltiplicarsi e non voler prendere la strada della gola. Ti hanno detto di tenere la bocca chiusa e silenziosa accetti il comando, rigida e dritta con le ginocchia puntate nel petto e le braccia a serrarle, piccola piccola su di un letto che scricchiola pieno di farina di cartone.
Attendi il dolore senza muovere un muscolo, accennando di tanto in tanto una smorfia impaziente che tradisce l'insufficienza dello stoico coraggio che stai pregando di avere. Quando il ventre ti si accartoccia fin dentro al bacino ti mordi le labbra con la punta dei denti e ti copri dai piedi alla base del naso con delle lenzuola che, pensi, non appartengono a te. In preda al delirio vorresti le ispide coperte di lana di nonna, ne faresti strati spessi come gusci per sentirne il peso contro la pelle e le immagini come fauci pronte a divorarti senza che tu abbia la minima intenzione di opporti.
Adesso anche tu sei la vena d'ingresso del fluido e ti lasci attraversare fin dentro le zone più remote dei circoli arteriosi; in preda allo spasmo tremi al centro del corridoio e se ruoti di certo non è perché lo vuoi. Non balli e non giochi e, anzi, vorresti star ferma, vorresti la testa bloccata tra due tavole rigide e camminare in linea retta, così da fermare la bile che sale mentre negli occhi si muovono a spirale sfere scure e scintille dorate.
Entri nel bagno gelido e asettico stando attenta a non staccare il palmo della mano destra dalle piastrelle in ceramica lucida che ricoprono le pareti. Ti pieghi e lasci che le ginocchia tocchino il suolo e lì rimangano mentre mani sconosciute ti allontanano i capelli dal viso. Un grido ti vibra in gola e ti scuote il torace, eppure lo blocchi, lo strozzi in un pianto muto e ti stringi più che puoi, ti raggomitoli a terra cercando di occupare con il corpo il più piccolo volume possibile.
Attorno c'è sangue di donna e guardarlo ti lascia del tutto indifferente, si stanzia tra le tue costole un primordiale istinto egoistico che ti sussurra che adesso sei tu a stare male e questo ti dà il permesso di ignorare il contorno e puntare nel centro, e il centro si trova nel tuo ventre, presumibilmente ormai morto, tossina da espellere attraverso questa sofferente catarsi.
Adesso per la prima volta mi guardi e il verde dei tuoi occhi è messo in risalto dal complementare scarlatto sui tuoi zigomi, sui quali mille capillari s'intrecciano e scoppiano macchiandoti il viso sotto un sottilissimo strato anemico di pelle. Non era mai successo prima che nei tuoi occhi io non fossi in grado di vederti danzare, di sentirti ridere forte con le grinze a solcare le tempie.
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