Mi guardo allo specchio e non mi riconosco. Svuoto le tasche e non mi trovo.
Cerco tra le parole, dietro le virgole e sotto ogni nota, ma niente. Sparito.
La mia casa è piena di scatole. Mi piace averle tra i piedi. Le scatole mi affascinano da sempre.
Perché sono magiche, possiedono in loro mistero e speranza, sorpresa e delusione, nascondono il tempo, proteggono e sorprendono.
Le guardo e mi avvicino a loro. Metto su un disco e mi siedo per terra.
Vivo in questa casa da tre anni ormai, credo sia tempo di aprirle, lentamente, ad una ad una.
Sarebbe proprio bello essere dentro una di queste, o almeno trovarci dentro l’idea.
L’idea che ho di me, di ciò che pretendo da me stesso.
Sarebbe fantastico. Un vero colpo di fortuna.
Dentro la prima ci sono libri e poi qualche foglio. In uno di questi c’è scritto a matita: "Eternal Sunshine of the Spotless Mind", un verso di una poesia di Alexander Pope.
Prendo in mano quel foglio e guardandolo ricordo perfettamente quel momento.
Quando parlare mi era difficile fin dal nome e faceva paura anche la prima stretta di mano.
Quel gesto che toglie concentrazione e disturba il suono della voce. Quel primo contatto che uccide ogni altra sensazione e ti urla dentro mentre tu cerchi invano di nascondere insicurezze e fragilità.
Così parti e arrivi, continuamente, da sempre, per sempre.
In viaggi che il più delle volte non sono altro che girotondi.
Perché l'amore e le emozioni fanno male ma non possiamo farne a meno, anche a costo di commettere sempre gli stessi sbagli, all'infinito.
Torno allo specchio e mi riconosco.
Ok. Ora, ci sono. Mi rivedo.
Cristo come sono invecchiato.
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