Il contadino
Alba, mattino presto.
La terra, sotto i suoi piedi avvolti da scarponi stretti era ancora dura dal freddo della notte. Le gocce di rugiada invadevano le zone erbose della collina.
Una leggera nebbia avvolgeva il paesaggio, ma con l’alzarsi del sole probabilmente sarebbe sparita presto. Le ore di sole sono essenziali e vitali: concedono il ritmo al tempo. Il passo pensante gli impediva di scivolare o di perdere il ritmo della camminata, conosceva a memoria ogni ostacolo del percorso, la posizione di ogni sasso. L’obiettivo era finire la potatura entro gennaio, ma con questo tempo ci sarebbero stati dei giorni in cui si sarebbe dovuto sicuramente lavorare il quadruplo. Pensava già alla fatica che lo aspetta, così come tutti gli anni della sua vita, tutte le ore che aveva passato in mezzo alla terra , sin da quando era alto un metro e poco più. Se possiedi della terra, ne rimani inevitabilmente legato, con il sangue e il senso del dovere
Il terreno collinare è un terreno duro, ispido, carico di fatica. La terra, il suo manto compatto e duro, accompagnano da sempre la vita del contadino; un contadino per dovere, non per scelta. L’amore per la terra lo aveva abbandonato molti anni fa, eseguendo su di esso un pragmatico lavoro disciplinato per raggiungere alcuni obiettivi più inclini alle sue passioni elettroniche e informatiche. La terra, il grigio, il verde, il blu, erano motivi per riflettere sulla sua storia, sugli errori e le rivalse. Ciò che fino a quel giorno aveva compiuto, in mezzo al campo era oggetto di revisione, mentre con le pinze di dedicava meticolosamente a completare l’obiettivo di dodici filari . Ogni periodo aveva un obiettivo, ed ogni obiettivo si incespicava nelle ore e nelle condizioni metereologiche.
Il processo di comunanza all’obiettivo, accadeva ogni qual giorno lavorava la terra, nel silenzio, e con le mani; le sue erano come ferro caldo, ma ruvide e tozze, dalle dita spesse e dalle unghie consumate dal lavoro, ma forti e sicure come due vanghe.
Una terra così ripida, così selvatica, non dà spazio a nessun tipo di macchinario, a parte il trattore nei tratti principali dei sentieri. La fatica diventa la metrica con cui misurare il tempo, e viceversa. Fare un lavoro fatto male, o farlo fatto bene è la stessa cosa: quindi tanto vale farlo bene. Abbassare la testa, lavorare sodo dissodando i pensieri.
Il tempo della fatica, o la fatica del tempo, avevano fatto sì che nei dialoghi le sue parole fossero sempre molto ponderate, poche ed essenziali. Molto spesso, non serviva parlare, bastava guardarsi. Così il campo gli aveva insegnato a comportarsi negli ambienti sociali e durante le interazioni. Essenzialità, pochi spreco, acume e affilatezza.
Il contadino non ha tempo da lasciar correre via, il tempo è legato alla meteorologia e la meteorologia alla stagionalità. Se ci sono le condizioni giuste si deve lavorare di più: il futuro non è mai certezza. Può esserci un piano, ma una nube di grandine potrebbe cambiare le carte in tavola all’ultimo istante.
La certezza arriva solamente con il contatto fisico, il lavoro è con le mani, la terra si tocca, si muove e si fa muovere. Si sente l’odore, la consistenza. Un mattino umido e sole dell’una di pomeriggio sono come due pianeti diversi. Il rumore che proviene dai boschi cambia al cambiare delle ore, gli animali, come le piante hanno i loro ritmi e il loro rituali.
La quotidianità del lavoro è un rituale, come quello della giornata di un picchio, di un serpentello nero, o di una salamandra. Ogni particella di campagna si fonde con quella dell’uomo, che ci affonda i piedi, le mani e il corpo tutto, nel contatto fisico.
Ormai per lui era diventata una costrizione, un dovere quasi morale. Ciò che lo teneva lontano dalla sua terra era la stessa cosa che lo avvicinava. Placidamente, lavorava per possesso, perché si era trovato ad avere della terra e con essa la sua storia, si era costretto a non abbandonarla mai, come una fede, un mantra.
La soddisfazione alla fine di un lavoro, alla fine della vendemmia e all’arrivo del vino nuovo è quella di sentirsi dire dagli amici che era buono, farsi delle bevute sotto il portico al calar del sole chiudevano la giornata. Le incombenze non potevano chiamarsi tali, perché ogni fibra del campo ha il suo ritmo, ogni giorno la sua temperatura, la sua misura.
La terra su cui cresci si fonde inevitabilmente con il carattere. Una terra difficile, scoscesa dove l’automazione non poteva arrivare è una terra dura, ma che non gli sforzi può regalare molto. La generosità del contadino derivava proprio da questo: il suo cuore dal guscio duro, come le zolle di terra, il suo carattere apparentemente nodoso, si aprivano a doni dello spirito che con poche parole arrivavano come folate di vento alle altre persone. Certo, ci si assembla con la terra dove si nasce.
Andare per campi non poteva mai essere un semplice svago dalla routine cittadina da cui il contadino si allontanava durante le giornate giuste, il prendere aria era piegarsi sulle viti e curare le piante, lavorare sui fossati, regolare l’erba tra i filari.
I pensieri vagavano, sul mondo e sulle idee, nella solitudine di un paesaggio solo all’apparenza inanimato. Come sarebbe stata la sua vita se non si fosse allontanato da lì quando era ancora ragazzo? Se non avesse deciso di prendere altre strade, formando un portafogli di vita cosi vario? Neanche il miglior broker, pensava, avrebbe potuto gestire una vita fatta di sfaccettature così diverse. Era molto pragmatico e ciò che lo coglieva in fallo erano spesso i comportamenti di chi lo circondava, di chi circondava il suo silenzio. si vedeva quindi con senso del dovere a tendere una mano, ad abbracciare un bisogno altrui, nascondendo sé stesso nel guscio del suo cuore profondo. Le lacrime, manifestazione del dolore, si nascondevano e bagnavano il guscio del suo cuore impermeabile. Il guscio proteggeva, dalle emozioni che erano sempre troppo forti; ed ora, con l’età, si stava accorgendo che il guscio si stava assottigliando.
L’amore per la moglie era dedizione, come quella per i figli e i suoi lavori, i suoi studenti, i suoi progetti.
Quando era giovane e aspro, come un acino appena cresciuto, desiderava ardentemente arrivare lontano ma senza mezzi, e quasi ci era riuscito. Almeno era sceso dalla collina.
Una casa, un amore da ricevere, un altro da riempire.
I vuoti non erano mai veramente tali, perché la macchinosità della ricerca di strategie non lo lasciavano mai privo di soluzioni. La notte era il migliore tempo per pensare ai problemi e alle strategie, per trovarne e per metterle in atto.
Non usciva mai dalla sua bocca un “ci penserò dopo”, perché ci avrebbe pensato costantemente fino al raggiungimento della soluzione migliore.
Si ritrovava spesso a pensare alla sua morte, in una fase della vita dove sentiva di aver ormai portato a termine molti sentieri. La crescita, l’amore, la nascita di un figlio, la sconfitta del cancro. In che modo sarebbe morto? Guardando all’albero genealogico della famiglia, statisticamente, tutti coloro che portavano il suo cognome non avevano avuto una vita longeva: quasi erano stati presi dall’alcol, da infarti o da tumori, morti depressi, in solitudine. Quella solitudine geografica che puntava le coordinate nell’anima. Forse lui, avendo cambiato un po’ vita, con il suo ampio portafoglio di attività, avrebbe potuto scampare a una sorte consolidata dalle statistiche?
Per il suo riscatto aveva sacrificato molto, i suoi ideali rivoluzionari in gioventù gli avevano fatto dimenticare in parte e con dolore le sue radici, dalle quali voleva staccarsi a tutti i costi. Quanto era valsa una vita di lotte per la costruzione funzionale del meccanismo che muoveva il suo corpo e il suo spirito?
La paura di morire solo era sempre in agguato. Solo, triste e alcolizzato.
Aveva sempre insegnato ai suoi figli che la fiducia era facile guadagnarsela, ma una volta persa era molto difficile riottenerla. Anzi impossibile. Era questo filo doppio che lo teneva in equilibrio. La sua silenziosa fiducia gli dava di che sperare, il suo cuore dal guscio ruvido non lo avrebbe tradito.
Una questione di integrità, di fatica, di rispetto. Amore dato e amore preso nel silenzio di un lottatore con le mani sporche di terra e il viso graffiato dai rami.