Sono le nove di sera. L’aria è ancora impregnata dell’odore del cavolo ripieno che ha cucinato per cena, per la gioia del marito e la disperazione della figlia, isterica perché “i vestiti sicuro prenderanno ‘sto puzzo schifoso da pecoraro di montagna”. Al contrario, a lei questo odore non dispiace. Non le dispiace l’odore di nessun cibo, in realtà. Significa che qualcuno in quella casa cucina, mangia, vive. Qualsiasi sia la ricetta del giorno, è profumo di casa, profumo di focolare domestico, profumo di sicurezza.
Recupera il suo cubo di Rubik dal cassetto sotto la TV e si getta sul divano. E’ vecchio e i piccoli cubetti sono ormai sbiaditi. Il blu è diventato un azzurro cielo. Il rosso un rosina insignificante. Ma Anna ha sviluppato un attaccamento tale al piccolo oggettino che non lo butterebbe via nemmeno diventasse tutto bianco. E’ un regalo di Andrea di sedici anni prima, quando era incinta di Carolina. Era una gravidanza difficile, con minaccia di aborto, ed era stata confinata a letto a riposo per mesi. Così, mentre mezza Italia scendeva in piazza per protestare contro la guerra in Iraq e l’esportazione della democrazia a colpi di missili intelligenti, lei impiegava il suo tempo nel risolvere il mistero del magico cubetto.
Giocarci era per lei non solo la salvezza dalla noia ma anche un atto di sopravvivenza. Aveva amato profondamente e visceralmente sua figlia fin dal momento in cui aveva saputo di essere incinta, quando ancora la sua creatura era un ammasso di cellule microscopiche. E quando le si era profilato davanti il rischio di aborto era caduta in un vortice di preoccupazioni che presto era diventato ansia, poi terrore, poi panico, in un crescendo delirante di emozioni paralizzanti. L’idea di poter perdere la bimba la faceva soffocare. L’ossigeno mancava, le mani sudavano, il cuore iniziava a battere come se volesse fare una maratona nel suo petto. Obbligata a letto, non aveva molte distrazioni. Il cervello non voleva saperne di pensare a qualcos’altro. Era un flusso continuo di pensieri cupi che fluttuavano incessantemente intorno al suo terrore. Poteva leggere o guardare un film, ma ogni storia la riportava inevitabilmente alla sua situazione. Finché un giorno Andrea si era palesato in casa con un regalo, il cubo magico. Al contrario di tutte le storie rappresentate nei film e nei libri, questo era qualcosa di semplice. Essenziale. Magnetico. Anna doveva attivare capacità di calcolo e intuizione per spostare dall’alto in basso o dalla destra alla sinistra i piccoli quadrati colorati in modo che tutte le facce del cubo fossero dello stesso colore. Molto semplicemente. Non c’erano appigli o agganci da cui il flusso nero di pensieri potesse ripartire. C’erano solo i cubetti colorati. Il rompicapo di Rubik era così totalizzante per lei, che era riuscito laddove niente aveva potuto: bloccare il rimuginìo costante del suo cervello. Alla fine, come per una moderna magia, Anna aveva risolto il cubo e sua figlia era nata.
Il telefono vibra. Sarà Carolina. E’ andata al concerto di Myss Keta con la sua amica Marina più grande di due anni, neopatentata. Solo l’ultimo aggettivo le fa venire le palpitazioni. Sua figlia è nelle mani di una diciottenne nel pieno di un’uragano ormonale e con delirio di onnipotenza, come tutti gli adolescenti. Già se la immagina che buca un rosso o guida a centocinquanta in tangenziale.. tanto è invincibile, cosa vuoi che le succeda? Si getta sul telefono con scatto felino, come se tutto, ma proprio tutto, nella sua vita dipendesse da quel messaggio.
Caro: arrivate!
Anna: Bene, fate attenzione. Non prendete drink dagli sconosciuti che ci mettono la droga!
Caro: oddio mamma, che palle. Non mi drogo!
Anna: Brava gioia. E non andate troppo sotto che ti schiacciano.
Caro: ma’ basta!! CHE PALLE
Anna capisce che è il momento di rimanere in silenzio. La sua parte razionale le dice che sua figlia deve vivere la sua vita, a prescindere da quante raccomandazioni lei scriva in un messaggio di Whatsapp. Sarebbe bello poterla chiudere in una campana di vetro, in un castello da fiaba pieno di tutte le cose che Carolina ama ma scevro di ogni pericolo. Fisico e mentale. Visibile e invisibile. Un luogo magico libero da ginocchia sbucciate, placche in gola, incidenti mortali, cuori spezzati e amicizie che non si rivelano tali. Ma immagina che anche la sofferenza faccia parte del gioco. Che non sarebbe vita senza dolore. E quindi adesso sua figlia è stipata insieme ad altri adolescenti in una discoteca, circondata da droghe, potenziali stupratori e porte antincendio molto probabilmente chiuse. Il flusso dei suoi pensieri sta prendendo una brutta piega e Anna cerca di focalizzarsi sul cubo. Non riesce a proseguire sul lato verde. Si è inchiodata a tre quadratini su nove. Ogni volta che prova ad inserire un quarto ne mangia due sugli altri lati. Ecco, forse adesso potrebbe spostare verso sinistra questo rosso così da creare maggiore gioco sull’altro lato. Forse.
Milano sushi & coca
la noche esta loca
strisce, righe e moda
vodka, keta e soda
Cocaina. Ketamina. Ecco che adesso, inaspettato, non benvenuto, come un testimone di Geova alla porta quando tu sei in pigiama sul divano, arriva fulmineo il pensiero di una canzone che sua figlia ascolta costantemente. E che magari sta cantando proprio adesso. Anna ha il terrore delle droghe da quando, a undici anni, sua madre le ha regalato il libro Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino. Era ancora molto piccola e quella terribile sensazione di disagio e disgusto dovuta al connubio di overdose e prostituzione se la sente ancora addosso adesso. Sua madre con quel libro, sicuramente poco adatto a una ragazzina, l’ha traumatizzata ma è riuscita nel suo intento. Anna ha una repulsione per ogni tipo di droga. Non riesce a bere due caffè in un giorno senza avere la tachicardia, figuriamoci se si fa una canna. E non sono tanto le conseguenze sulla salute fisica che la terrorizzano, quanto quelle sulla salute mentale. E’ perdere il controllo che per lei è inammissibile. Lei vuole il controllo su tutto, sempre. E soprattutto non lo accetta per Carolina. Vede sua figlia che prima prende l’MDMA e poi ha un infarto. Vede la corsa in ospedale, le urla, l’angoscia. Vede sua figlia che azzera le proprie capacità empatiche e relazionali a causa della cocaina. La vede ansiosa, aggressiva, depressa, sola e abbandonata da tutti. Un relitto umano.
Anna: Caro, come va lì?
Nessuna risposta. Eppure è online. Doppia spunta blu. Visualizza e non risponde. Sua figlia la sta beatamente ignorando. E’ una stronza, ma almeno è viva. Anna si chiede quando è stato il momento esatto in cui Carolina è cambiata. Quando è successo che quella bimba serena sia diventata l’alieno irascibile e acido che adesso si ritrova in casa. Ci pensa, analizza i ricordi, riflette sui momenti chiave. Ma niente, non riesce a capire. Molto probabilmente è stata un’evoluzione graduale, anzi, un mostrarsi graduale. Di fatto, sua figlia è una rettiliana sotto sembianze umane pronta a distruggere l’intera umanità, iniziando da sua madre. Ma questo è il passato. Il presente è rappresentato da questi quadratini colorati che proprio non ne vogliono sapere di andare dove decide lei. Gira il lato destro in basso per due volte e la riga in alto a sinistra per una volta. Il quarto cubetto verde si inserisce proprio dove vuole lei ma non è quello corretto, non è quello che le serve. Cubetti ribelli, proprio come sua figlia.
Caro: concerto finito, troppo figo!
Anna: sono contenta
Caro: lei è bellissimaaa
Anna: che ne sai? Ha il viso coperto
Caro: uff ma’
Anna: dimmi quando partite
Caro: partite!
Anna ricorda la lotta che ha dovuto combattere per farsi scrivere da sua figlia nel momento in cui questa arriva o riparte da un posto. Per Carolina è mancanza di fiducia. Per lei invece è una boccata d’ossigeno. Sapere che è arrivata sana e salva la rende tranquilla. Sapere anche quando riparte le da inoltre l’illusione di avere il controllo sulla situazione. Se sa quando parte, facendo due calcoli, sa anche più o meno entro quanto tempo deve arrivare a casa. Le sembra quasi di avere anche il controllo sul traffico, sull’auto, il clima, il manto stradale e il livello alcolemico di tutti gli automobilisti che incroceranno la strada di sua figlia. Una pia illusione.
È un must ma non si dice
Xanax e Lexotan mi fanno felice
Anche Anna lo fa ma non lo dice. Prende ansiolitici da quando Carolina ha tre anni. Non sempre, a fasi alterne, nei momenti in cui l’ansia la immobilizza e la trascina verso il baratro del panico. Era il quarto giorno di scuola materna. Non era stato facile staccarsi da sua figlia dopo tre anni di fusione. E stava appunto cercando di condurre una vita pressoché normale, tentando di gestire la tristezza e l’inquietudine, quando riceve una telefonata dalla maestra. Carolina era caduta e si era fatta male a una caviglia. Niente di grave, una banale storta. Ma questo era bastato per innescare la bomba. Tutte le paure, tutti i timori, tutti i piccoli turbamenti percepiti fin dalla gravidanza e tanto faticosamente nascosti ed evitati, si erano adesso fusi in una piccola massa grumosa al centro del suo petto ed erano esplosi con la potenza di un ordigno nucleare. E improvvisamente, l’amara epifania: la sua vita dipendeva dalla vita di sua figlia. La sua felicità, la sua serenità dipendevano dalla salute di un altro essere umano. Carolina era una gabbia. Certo, una gabbia dorata perché l’aveva voluta, desiderata e amata. Ma pur sempre una gabbia. Una galera che sarebbe durata all’infinito, un ergastolo. Una condanna eterna a preoccuparsi, logorarsi, angosciarsi per la vita di un’altra persona. Anna sposta di uno scatto il lato sinistro del cubo verso sinistra, quel cubetto giallo deve spostarsi da lì, e pensa alla sua libertà mentale, persa nel momento stesso in cui è rimasta incinta. Se succede qualcosa a sua figlia, la sua vita è finita. Niente ha più senso. Non è una donna libera. Nessun genitore lo è. Si pensa che siano i figli a dipendere dai genitori, per il cibo, la casa, l’istruzione. Ma è l’esatto contrario: sono i genitori a dipendere dai figli.
Anna: Caro, dove sei? Dovevi già essere qua
Caro: Ci siamo fermate al Mc per un panino
Anna: cazzo Caro, potresti avvertire! Mi stavo preoccupando
Nessuna risposta. Anna vorrebbe continuare a scrivere. Vorrebbe gettare su sua figlia tutte le sue preoccupazioni e angosce, visto che lei ne è la causa. Vorrebbe urlarle che potrebbe essere anche più educata e portare rispetto, dato che sempre di sua madre si tratta e che prima o poi la farà morire di crepacuore. Ma non lo fa. Adesso sa come gestire tutto questo. Continua a ruotare i cubetti colorati in cerca di quello verde. Respira profondamente. Tutte le scene catastrofiche a cui ha pensato nelle ultime due ore sono solo questo: un parto malato della sua mente. E sua figlia non può farsene carico. La realtà è un’altra, la realtà è il cubo colorato che ha in mano. Il qui ed ora. Anna ha imparato a capire quando una preoccupazione è legittima e quando è frutto del rimuginare pessimista e contorto del suo cervello. E nell’ultimo caso, può e deve gestirsela lei. Anna prende mentalmente tutte le sue paure di questa sera – gli incidenti in auto, la droga nei drink – e le mette dentro una fittizia bolla di sapone. Le guarda bene dall’esterno: sono solo pensieri, niente altro che pensieri. Anna soffia e la bolla di sapone scompare.
Fuori si sente il rumore di un’auto che si ferma e di una portiera che sbatte. Anna gira per due volte verso l’alto il lato destro del cubo. Il cancello cigola mentre qualcuno lo apre. Anna fa scattare verso sinistra il lato inferiore. Si sentono rumori di passi sulle scale. Anna ruota il lato sinistro verso il basso. Le chiavi girano dentro la toppa della porta. Il tanto agognato quarto quadratino verde finisce al suo posto. Carolina è a casa.