Caos.
Il diritto di amare.
C’era lui che aveva i capelli neri e sporchi che profumavano di aiuole.
C’era lei che aveva i capelli lunghi e sporchi che odoravano di camomilla.
C’era lui, coi suoi occhi così profondi e grigi.
C’era lei, con i suoi occhi così piccoli.
Lui aveva le occhiaie, dovute a tutte le sostanze x che assumeva per sentirsi meno y possibile. Per “y”, lui intendeva il male. Lui stava tanto male, forse troppo, chissà (yyy). Solo lui poteva sapere cosa significasse prendere xxx gocce di ------, -------, -----, ------, senza neanche più seguire le indicazioni del medico circa le dosi consigliate.
Lei anche aveva le occhiaie, delle occhiaie talmente viola, essenzialmente per due motivi: il primo era il fatto che fosse portatrice sana di una malattia e, nonostante non avesse problemi di salute, i segni della malattia, li portava, tutti. Il secondo era il fatto che dormiva poco e, anche se casualmente avesse potuto dormire tanto, la notte si svegliava ormai da mesi, sempre alle 04:48, rompendo il sonno e non permettendole di apparire riposata.
Lui distaccato dal resto del mondo, faceva uso di sostanze stupefacenti e fumi oppiacei, cocaina, e solo lui può sapere cos’altro, in grado di alterare la sua vista, la sua percezione del mondo, la sua vita.
Lei no. Ma dava l’impressione di una persona abituata a sniffare robe, perché aveva questa cattiva abitudine di tirare su col naso e poi asciugarlo con la mano, la sinistra il più delle volte.
Lui non aveva un buon rapporto con il mondo in generale, odiava tutti, o quasi. Aveva degli attacchi di psicosi. Da un momento all’altro avrebbe potuto compiere qualsiasi gesto, dal meno al più pericoloso di tutti. Una volta aveva spaccato la porta della sua stanza, causando una ferita tra le dita della sua mano, in prossimità delle nocche.
Lei fingeva, invece, di avere un buon rapporto con tutti. In realtà, aveva solo paura della solitudine, in quanto, ogni volta che rimaneva in compagnia di sé stessa, infiggeva un qualche dolore - le piaceva il dolore, tanto - al suo corpo. Una volta, ad esempio, in preda ad un attacco di panico, aveva preso una forbice tagliente e aveva tagliato le sue gambe; una lametta e aveva tagliato i suoi polsi.
Lui scriveva come se Apollo gli prendesse la mano e lo accompagnasse nella stesura dei suoi testi, prendendo un po’ di bravura da tutti gli artisti, scrittori, poeti, esistenti e non, sulla faccia della terra.
Lei non sapeva scrivere in prosa: era proprio una competenza che non le apparteneva. Non sapeva scrivere neanche poesie, in realtà: semplicemente aveva delle Muse che non poteva assolutamente ignorare e, quando le parlavano, lei prendeva la penna e scriveva ciò che loro dettavano.
Lui viveva in assenza di Luce, eppure era il Sole, per Sarah.
Lei aveva paura del buio e rappresentava per Pascal la Luna.
Lui, se Sarah non fosse esistita, si sarebbe già ammazzato - ci aveva già provato tre volte.
Lei non si sarebbe mai ammazzata, perché (per tre persone) rappresentava la vita.
Lui conduceva una vita di cui nessuno conosceva i dettagli.
Di lei, invece, sua sorella conosceva anche cose che neanche Sarah stessa sapeva.
Lui, lui possedeva tutte le armi che si possono immaginare, "sì anche quella, esatto anche quella, non so se anche quella, ma penso proprio di sì".
Lei, lei non sapeva neanche come si maneggiasse un’arma, eppure, nei suoi sogni l’omicidio era ricorrente.
Lui era tenebroso, celava del fascino, ma non si poteva leggere bene dentro i suoi occhi.
Lei era misteriosa, a volte sembrava una persona, altre volte un’altra.
Borderline.
Atipica.
Psicotico.
Paranoica.
Nessuno avrebbe mai potuto dire quale fosse la differenza tra i due.
Sembrava quasi che una tecnologia molto raffinata e avanzata avesse trovato due anime gemelle e le avesse fatte incontrare.
Solo che stavolta non c'era nessun computer, nessun impianto. Nulla di scientifico/tecnologico/virtuale.
E, in realtà, erano molto diversi tra loro, ma, in fondo, erano così paradossalmente uguali.
Lui stava lì e monologava.
Lei stava lì e lo fissava.
Lui non avrebbe dovuto innamorarsi di lei, perché lei andava oltre alle righe e scorgeva tutte le metafore delle sue parole.
Lei non avrebbe dovuto innamorarsi di lui, perché lui sapeva i desideri di lei e faceva di tutto per farli avverare, anche se si trattava di andare contro il bene.
Chiunque li avesse visti, non avrebbe capito: ecco perché per incontrarsi dovevano creare per forza un mondo fuori dal tempo, dallo spazio, da chiunque.
Si incontravano sempre e solo in luoghi sperduti, dove nessuno li avrebbe mai potuti trovare o vedere, fuorché la Luna, il cielo, la notte, gli alberi, il vento, gli agenti atmosferici, le cicale, gli uccelli, l’alba, il tramonto, le nuvole, il fango, i cespugli, la ghiaia, il muschio, le formiche, i cavalli.
-“L’hai sentito?”
-“Cosa?”
-“Era il verso di un coccodrillo”
-“Non ci sono coccodrilli qui, smettila”
-“Sh, ci sono eccome, invece, hai sentito questo rumore?”
-“Sì, ho paura, cristo iddio, dove cazzo siamo? E non c’è neanche campo, il telefono non prende. Il tuo?”
-“Nemmeno, torniamo indietro, dai”
-“Grazie”
-“Salta su”
Non era facile.
Non era assolutamente facile.
Soprattutto quando pioveva, bello il romanticismo, ma il freddo gelido che entra dentro le ossa e la pioggia che si asciuga sulla pelle durante tutta la notte, sicuramente un po’ meno.
La febbre, sicuramente un po’ meno.
Il mal di ossa sicuramente un po’ meno.
Siamo realisti, per una volta.
Chiunque sapesse di loro, non li capiva, erano così insoliti: ecco perché davanti agli altri fingevano di amarsi di meno o, talvolta, di non amarsi affatto, di non conoscersi, di odiarsi.
Tuttavia, quando un sentimento è puro, sincero e forte, come si può nascondere?
No, non è una domanda retorica, era proprio la domanda a cui giornalmente quei due cercavano di rispondere. Cercavano sempre diversivi, scuse, alibi.
-“Oi”
-“Oi, dimmi”
-“Oggi hai da fare”
-“No, perché?”
-“Sei da solo?”
-“Sì”
-“Ok, allora, alle 3 ti raggiungo a piedi, arriverò per le 4.50, credo”
-“D’accordo”
-“Tutto ok?”
-“No, ci vediamo dopo”
Silenzio.
Lunghissimo silenzio.
-“Oi”
-“Eccoti”
-“Scusa, situazione y”
-“Ok …”
-“No”
-“Lo so”
-“Sarebbe ok solo se”
-“Fossi rimasta”
E insieme Pascal sussurra: “Qui” e Sarah continua la sua frase: “Lì” e le loro voci diventano una.
Silenzio.
Pascal stacca.
Sarah piange.
Lunghissimo silenzio.
-“Oi”
-“Erano giorni che non ci sentivamo”
-“Sono settimane che non ci vediamo”
-“Lo so, scusa”
-“No, passi da me più tardi?”
-“Vai su WhatsApp”
Sarah apre quell’applicazione verde speranza.
1 messaggio da Pascal (Foto)
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-“Ma, perché non me l’hai detto prima?”
-“Assioma”
-“Sto morendo di …”
-“Gioia, gioia mia”
-“Ascolta, io oggi ho un colloquio e tu hai preso il biglietto per venire da me, senza che io sapessi nulla. Tutto questo è meraviglioso, ma io non posso non andare”
-“Manda posizione, ti aspetterò lì”
Silenzio.
Lunghissimo silenzio.
Come si può nascondere? Come si poteva nascondere il fatto che si amassero? Come si potevano nascondere ancora?
No, neanche queste sono domande retoriche.
Non potevano più nascondersi, era davvero difficile fingere di non amarsi.
Allora, decisero di comune accordo.
Lei aveva promesso a sua sorella che non si sarebbe mai e poi mai suicidata.
Lui aveva stretto la stessa promessa con Sarah. Un’unica soluzione, quindi, poteva esistere.
Decisero di uccidersi: lei avrebbe dovuto sparare lui e viceversa lui avrebbe dovuto sparare lei.
Si recarono a casa di Pascal.
Scoparono, confondendo il sesso con l’amore e viceversa.
Bevvero 5 bicchieri di vino lui e 4 lei.
Fumarono il crack, per Sarah era la prima volta. Era vicina allo svenimento. Per Pascal, l’ennesima. Era vicino al Nirvana.
Misero come sottofondo una canzone che lui dedicava a lei e che era la stessa che lei dedicava a lui.
Musica.
Piansero e scrissero una lettera insieme, dividendosi una riga per ciascuno.
Arte.
Si abbracciarono per 6 lunghi minuti che parvero 6 brevi mesi.
Lui le porse una glock 17, una pistola semiautomatica e leggera che sarebbe potuta essere perfetta per lei e le sue manine e le spiegò minuziosamente il funzionamento: sembrava un vero intenditore nel campo dell’armeria. Lo era, effettivamente.
Lui prese un revolver, quella pistola non era una rivoltella qualunque, al contrario, l’aveva adattata su misura per le sue mani, le sue enormi mani. Afferrarla per lui significava ormai quasi come diventare un tutt’uno con essa.
Spararono, all’unisono. Un unico colpo, due proiettili.
Si svegliarono in una camera d’albergo: erano in Francia. Si guardarono e si abbracciarono prima forte, poi più forte...
-“Pascal?”
-“Sarah, amore mio, non nascondiamoci più. Oggi c’è il sole”
-“Ma non posso, lo sai che …”
Lui la interrompe con un bacio.
-« Je sais, Mademoiselle. Mais on se trouve ici (dice Pascal con una “erre” forte e per nulla moscia e le indica le segnaletiche stradali in francese) »
-« Et je t’avais promis que tout aurait été possible ici, c’est vrai »
Avevano fatto lo stesso incubo: un sogno orribile dove non si può amare “en plein air”, dove per amarsi bisognava nascondersi.
Autoconclusione.
Le droit d'aimer.
Armonìa.
(E così via)