Il falegname
Ho chiuso gli occhi per un istante e subito i pensieri hanno cominciato ad affastellarsi. A un pensiero se ne aggiungeva un altro e un altro ancora, fino ad annodarsi assieme, formando un grumo nero e denso dietro le palpebre socchiuse. Poi è arrivato un ragazzo, pareva essere molto giovane, non l’avevo mai visto prima, ha salutato con un sorriso e prima di andarsene mi ha allungato un pacchetto dicendo ‘Buona fortuna’. L’ho scartato e dentro c’era un pezzo di cielo. Sì, esatto, proprio così.
Mi sono ritrovata un pezzo di cielo azzurro tra le mani.
Per un istante ho sospettato fosse solo uno specchio, perché ne aveva la consistenza e lo spessore, era squadrato, coi bordi netti. Pensavo riflettesse il cielo sopra la mia testa, ma poi ho capito che era altro e alla meraviglia si è aggiunto il timore. Non credevo si potesse tenere tra le mani il cielo, invece, era lì, tangibile, tra le mie dita. Le nuvole bianche si muovevano sotto il mio sguardo, perché questo non era puntato in alto come di consueto, bensì verso il basso: con un’occhiata potevo cogliere insieme la punta rovinata delle scarpe e la volta celeste. Potevo sentire il vento, il freddo, l’aria rarefatta salire da lì, da quel quadrato di luce. Ho poggiato il pezzo di cielo sulla pancia e, sporgendo in avanti il capo per osservarlo meglio, ho guardato dentro. Il pezzo di cielo radunava ora nuvole cupe e gravide. Da lontano arrivava la tempesta: fulmini e tuoni di una furia feroce e rumori remoti sospinti verso di me, portati dalla corrente. Sono corsa a casa per mettere al sicuro il regalo, ma, aperta la porta, ho trovato il falegname che prendeva le misure:
- “Il perimetro, signorina, devo calcolare il perimetro” – i suoi occhi erano piccoli e profondi, costellati di ragnatele di rughe.
- “Perché?”
- “Per i battiscopa. Meno male che la casa è vuota, così posso fare un lavoro fatto bene”
- “Ma bisogna metterli ovunque?”
- “Sì, certo. È importante metterli in ogni stanza, così da stabilire il perimetro della casa, capisce?”
- “Mi scusi, io…”
- “Vede, questo è il suo metro. È quello che usa lei di solito, signorina”
- “Sì, esatto” – ne riconoscevo l’etichetta sbiadita e sollevata sul fianco.
- “Lei per cosa lo usa?” e inclinò il capo attendendo una risposta.
- “Per prendere le misure dei mobili”
- “No, questo è il metro che usa per contare i centimetri, ricorda ora?”
- “Mi spiace, fatico a seguirla” risposi, mentre le nocche delle mani si facevano bianche nello stringere intensamente il pezzetto di cielo.
- “È quello che usa per calcolare quanto può entrare e quanto può uscire, è quello che stabilisce il limite, il suo limite.” fece una pausa.
- “Se faccio un buon lavoro lei potrà stare al sicuro dentro il confine dei battiscopa” aggiunse poi sorridendo.
Il falegname era proprio un brav’uomo, non ricordavo di averlo chiamato, ma ero certa che stesse facendo il suo lavoro al meglio e lo faceva con tale dedizione e cura che gli chiesi se fosse possibile creare un battiscopa anche per il mio pezzo di cielo. Lui lo guardò, lo rigirò tra le mani ruvide e poi annuì deluso:
- “Anche lei con un pezzo di cielo”
- “Me l’hanno appena regalato”
- “È un problema, sa? Quando il cielo finirà come faremo?”
- “Non credo sia il vero cielo, penso sia una magia”
- “Ma cosa dice! Certo che è reale, guardi” si alzò in punta di piedi e attraverso la finestra spalancata, allungando il braccio più che poteva, afferrò un pezzo di cielo.
- “Lo vede come è facile? Capisce qual è il problema? Tutti vogliono un pezzo di cielo, ma nessuno si preoccupa di lasciarlo lì dove deve stare.”
Il suo pezzo era informe, irregolare, smangiato ai lati e rifrangeva la luce come se fosse liquido. Pareva uno stagno che giocasse coi raggi di mezzogiorno.
- “Ma ora lo può rimettere a posto?”
- “Certo, questo sì. È il suo pezzo, che è stato limato e perfezionato, che non può tornare lassù”
- “Ma perché?”
- “Perché il cielo cambia continuamente, non ha una forma, non è come il perimetro di casa sua, signorina.”
Ero triste e terrorizzata, temevo che il cielo potesse esaurirsi per colpa mia.
- “Ed ora cosa faccio?” dissi con voce rotta.
- “Lo appenda sopra il letto, sul soffitto, il cielo è lì che deve stare”.
- “Ho paura”
Il falegname tentò di rassicurami come prima: “Non deve averne, da domani avrà un confine, così potrà costruire solide mura e chiudersi dentro, ma avrà un quadrato di cielo da guardare prima di dormire, lei è fortunata” - e sorrise, ma questa volta le sue labbra si aprirono rivelando i denti guasti, come il sipario sulla scena di un omicidio, rivelando le sue vere intenzioni. Capii subito che quel pezzo di cielo mi aveva ingannata. Mi aveva già imprigionata, mi aveva costretta a scrutare un piccolo specchio del creato impedendomi di vedere il resto.
Mi svegliai poco dopo, nel letto dell’ospedale, le lenzuola umide strette attorno al corpo, i suoni ritmici dei macchinari alla mia sinistra e sulla destra la finestra con la sua piccola porzione di cielo azzurro.