Mi chiamo Lucia, ho 28 anni – fra tre giorni 29.
Ho una bella famiglia anche se non una “mia” famiglia come la gente si aspetta che ormai io abbia. Sono ancora figlia e sorella, e non moglie e madre. Però ho un compagno, è più grande di me di 15 anni, e non ho ancora capito cosa implichi per lui volermi bene. Vedremo.
Ma non è di questo che mi preme scrivere.
Ieri era la festa della donna e pensavo alle tante donne che stimo, che ammiro da lontano oppure con cui ci parlo su whatsapp. La più importante di tutte, la mia meravigliosa nonna, se ne è andata senza salutarmi in una calda notte dello scorso luglio. Proprio in questi giorni mi capita di pensare che tra tutti i periodi in cui poteva lasciare questo mondo ha forse scelto il migliore. Non mi stupisce questa sua preveggenza: come molti ultranovantenni conservava nelle ossa la saggezza del mondo intero. Comunque, sono contenta che non ci sia adesso perché sarebbe stata nella famigerata zona rossa e l’idea di saperla spaventata e non poterla abbracciare mi avrebbe debilitata più del contagio di questo virus. O, ancora peggio mi sento, saperla in ospedale agonizzante da sola.
Arrivo al punto se ci riesco. Sono cresciuta con i racconti di guerra e partigiani che –affascinata– chiedevo alla nonna di raccontarmi perché era per me “un c’era una volta” con dei personaggi da immaginare e una storia finita bene perché lei era li davanti a me.
Oggi mentre attraversavo la stazione di Bologna deserta, salvo un paio di persone incontrate nel sottopassaggio munite di mascherina, pensavo a quanto sia subdola la nostra epoca che ci prova a distrarre mentre ci costringe a vivere nel sospetto. Dal terrorismo a virus letali, da catastrofi climatiche a minacce di guerre nucleari. Non un nemico chiaro, certo ma un male impalpabile. Quanto è precaria la vita, quanto è vuota l’illusione da Homo faber fortunae suae.
Vorrei non cedere alla tentazione del fatalismo che leva ogni responsabilità collettiva e individuale. La mia esigenza, ora, è non “come scampare” da pericoli che non si possono prevedere e identificare ma trovare un senso a tutto questo.
Non vi sembrano tremendamente stringenti le domande esistenziali? Noi siamo il nostro corpo, che può morire da un momento all’altro, o la nostra anima? Cosa c’è dopo la morte? Che significato ha la vita se può finire improvvisamente? Siamo solo qui a farci compagnia o c’è qualcosa di più grande che trascende le nostre singole esistenze? Perché esiste la malattia e perché colpisce gli innocenti?
È vero. Io ho sempre pensato che la scrittura avrebbe potuto, magari in anni e col lavoro, “salvare” la storia miserrima (la mia) in un canto epico. E forse ci sarei riuscito. Ma non sarà così. La letteratura non salva, mai tantomeno l’innocente. L’unica cosa che salva è la fede, l’Amore e la ricaduta della Grazia che è come il temporale.
P. V. Tondelli
Il mio appello è: non distraiamoci per cercare di colmare la paura, ma facciamoci una compagnia vera nelle domande che questa paura genera.