Il primo giorno del resto della tua vita
Ieri mattina ero seduto sopra un braccio di una betulla morta, sul ciglio di uno stagno plumbeo, in mezzo al bosco secco, quando ad un certo punto mi sono reso conto di come stessi vivendo il primo giorno del resto della mia vita. Subito me ne convinsi.
"Pazzesco, è davvero oggi il primo giorno del resto della mia vita".
Pensai: son molto giù, quando non son su. Ma oggi è il pgdrdmv.
Allora adesso scrivo di quando degli uomini adulti intristiti vennero al campo da calcio della parrocchia e di come gli dissero che i suoi genitori erano morti in un incidente stradale poco fuori Rovigo; era solo un bambino brasiliano piccolino con una voglia nera sull'occhio e la codina sardonica sul labbro, e la sua vita adulta iniziava proprio quel giorno; due brasiliani squartati su'n platano a Pontecchio Polesine, travi di alluminio che penetrano le bocche e fuoriescono dall'osso occipitale, fumo a bestia e vetri taglienti che cadono su prati fangosi in pieno rovigotto, ruote che sbregano l'asfalto, l'ambulanza che prima arriva e poi se ne fugge nell'ennesimo eterno ritorno della banalità del male.
Ma tu ti pensi la rottura di cazzo a morire schiantandoti con la macchina.
Ma tu ti pensi che a volte non riesci a vedere nessun motivo per andare avanti perché guardi troppo indietro.
Ma tu ti pensi che ciuccio un litro d'olio d'oliva alla settimana e poi piango sull'olio sversato sulla latta da sei litri, quando con un po' di burro risolvi tutto.
Allora fanculo questa betulla, scrivo una nuova epifania e intraprendo una corsa volontaria e liberatoria sotto la pioggia fortissima appena iniziata, corro corro corro, passo via questo vecchio stabilimento radiofonico ora teatro di rave e punkamminchia, spalmo di acrilico i muri di questa fottuta città drogatissima e futuristica, ci scrivo sopra Italia Libera e poi mi piscio addosso senza freni, che tanto sta diluviando e sono zuppo come una zuppa di zuppi zip.
Corro con le gocciole d'acqua che sgorgan sull'occhi e penso - perché ne sono convinto - che l'idealità è nobile, ma l'iterabilità è più obiqua e soprattutto più costitutiva.
L'attimo è fuggente, sì, ma d'altra parte cosa può fare l'attimo se non fuggire? Che appena lo vedi passare, sparisce via, ergendoti il medio e dicendoti che cazzo vuoi io sono l'attimo e sparisco ancor prima tu possa evocarmi. L'attimo che invita le cose ad accadere: apre la porta, inspira, manda giù l'estemporaneo, consegna qualcosa al disordine che gli ridà qualcosa indietro - ordinato, ripulito, stirato, narrabile, condivisibile.
Ma non può piovere per sempre.
Oggi ho messo giù il telefono, in giubilo, ho buttato wazzap nell'umido e mi sono aperto un varco kosmisch dentro al muro della cucina, fottendomene di tutti i cavi nascosti dentro, rimanendone quindi folgorato: lo faccio sempre, quando sono felice.
Oggi sono felice.
Oggi mi sono convinto. Che appartengo alla mia pelle. Che l'intestino è il mio, che gli occhi sono i miei, che questo orecchio emmezzo che sta ascoltando il silenzio della domenica pomeriggio è il mio, che il mio sbroffonchioso respiro è il mio, che tutto questo è mio e come me e te e gli altri nessuno sarà mai.
Sono io che presidio il mio sinedrio in qualità di mullah.
Oggi mi sono convinto che non era ieri il primo giorno del resto della mia vita. Mi ero sbagliato.
È oggi.
È oggi il pgdrdmv.