Davide ha due occhi che si vede il fondo della piscina.
E quelli come me, in sua compagnia, salgono sul trampolino più alto, prendono la rincorsa e trattengono il fiato: giusto il tempo della
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Ed è laggiù che vedo la bobina di tutti i suoi pensieri, una matassa ingarbugliata di concetti, spiriti, fotografie e opinioni. Vipere arrotolate fra loro, del colore dei suoi occhi-piscina. Quelli come me, in sua compagnia, lo stanno ad ascoltare in silenzio. E in silenzio rispondono.
“Vedi -non glissa Davide-, la provincia non è un paese satellite, non è una casa diroccata, non è un cliché e nemmeno un vecchio bar col jukebox, l’insegna arrugginita e la tabaccheria adiacente. Non è una piccola città e nemmeno un grande villaggio. Ovviamente non è un venditore di scope ambulante, o un gruppo di senatori che parlano in dialetto stretto, seduti in piazza, d’inverno come d’estate, mentre in lontananza mezzogiorno proclama le dodici dal campanile. La provincia è la fine di una strada senza uscita, ma imboccata di proposito. La provincia è una predisposizione, è poco meno di una malattia. È stare al riparo dalla complessità, dai pensieri del mondo, dai suoi colori. È criticare gli altri per i propri fallimenti, è disinteressarsi di tutte le altre facce del dodecaedro”.
Davide ha due occhi che si vede il fondo della piscina.
Mi ci tuffo con le bombole d’ossigeno, ché senza tornerei in superfice troppo in fretta.
“Vedi -non glissa Davide-, non esiste una nostalgia migliore delle altre. La provincia è pensare che i propri sentimenti siano migliori degli altri. È compatirsi da sé. È una mamma che dice cocco di mamma, mi raccomando torna a mezzanotte”.