È solo un sabato sera in uno di quegli anonimi bar che fanno da background alle amicizie di una vita nelle serie tv, dunque C. non fa caso ai cambi di scena; accanto al suo tavolino una coppia litiga ma un’ora fa le sembravano molto più giovani.
Ci sono delle frasi che si dicono sempre in questi casi, vecchi cavalli di battaglia tutto sommato ancora fotogenici a cui si è abituati.
C. usciva dalla sua comfort zone, ma solo dopo un paio di canzoni alla radio- musica spagnola; riusciva a liberare nell’aria tutte le versioni di se stessa soffocate negli ultimi anni e a farle danzare. Erano bellissime, se solo qualcuno le avesse viste. Si correvano incontro e si tenevano per mano a ritmo, saltellavano ed interrompevano le une le frasi delle altre. La facevano ridere tantissimo e così persino lei riusciva a risultare simpatica.
In realtà, si stava godendo il suo teatrino personale, un applauso in più avrebbe fatto comodo, ma nient’altro. O. se ne era messa una nel taschino della giacca, di nascosto. Non aveva alcuna intenzione di amarla, naturalmente, ma era incuriosito da questo barattolo solo apparentemente trasparente appoggiato svogliatamente sul suo tavolo. Sarà pigra davvero, poi?
Senza sapere niente di un essere umano, è il caso di abbracciarlo certe volte in seguito ad un colpo forte, anche se insignificante, anche temporaneo, superficiale.
Al momento di scambiarsi le parti, le prende entrambe.
C. sente tutto il suo peso mentre gli parla, tutta la sua concretezza, ma non muove un dito, in fondo chiede solo di poter rimanere nel suo, di non cominciare da zero un impossibile gioco di strategia in cui perdere tutte le vite rimaste. Il suo cuore palpita, coloratissimo.
O. fa silenzio e tiene d’occhio l’orologio, i minuti mancanti alla fine del suo turno.
Poi, prende la rincorsa.
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