Kurt
Come smargiassi pubescenti stiamo seduti a terra
tiriamo rapidi dalle sigarette, ma non perché alle prime armi
è solo l’alcool che pompa nelle vene e fa girare il sangue disorientato
e tu hai una montagnetta di coca sul dorso del pollice
e te la spari nel naso
e scoppi in una risata, sfottendomi perché rifiuto la dose che mi stai offrendo
e strozzato dall’amaro sedimentato nella gola
mi punti un dito ammosciato contro il petto
lo batti tre volte e dici
che ho paura
che sono un coniglio
che dovrei provare almeno una volta
rispondo
che non mi interessa affatto quella roba
e io sono sincero
guardandoti finire a terra.
Kurt si preme lo stomaco e tenta di alzarsi facendo leva sulla spalla di Matteo, ma gli tremano le gambe, ha lo sguardo premuto contro il marciapiede. Scansa Matteo con una manata e, barcollando rigetta quello che non aveva mangiato nel mezzo dell’aiuola.
- Stai meglio?
- Erhm.
Kurt raccoglie la bottiglia di birra dal collo, se la strofina contro il corpo come a voler essere sicuro di averla presa davvero, l’avvicina con cautela alla bocca curvando la schiena in avanti. Con fare teatrale alza il gomito, fa un passo e manca l’appoggio con un piede, oscilla di lato e ritrova l’equilibrio con l’altro.
Kurt scioglie quella posa da fenicottero, inarca la schiena e la bottiglia partecipa al movimento restando attaccata alle labbra mentre il liquido riscaldato dalla sera estiva gli scivola in gola e al di fuori di essa lasciando tracce umide bordate di schiuma sulla maglia.
- Sicuro di stare bene?
- Ce l’hai una gamba con te?
- Ho la carta.
- Me la alzi? Poi te la rendo settimana prossima.
- No, mi serve.
- Sei un coniglio.
Kurt muove il braccio come per fendere l’aria, il corpo lo segue e con una giravolta torna a sedere finendo con il culo nell’erba.
È di nuovo sdraiato.
Si è lasciato scivolare indietro, accarezzando il terreno butterato con la schiena, aderendovi e tenendo la bottiglia in verticale premuta contro il terreno, salda nella mano.
Matteo lo guarda e vede la sua bocca spalancarsi, da lì ne esce una risata che è un lamento e nel mezzo, biascicato come una litania di un invasato ripete:
Hai paura
Hai paura
Hai paura
DI COSA? - Matteo sbatte la bottiglia a terra. Non è solito urlare ma non se ne rende conto. Ha bevuto anche lui. Ha bevuto al lavoro. Ha bevuto fuori dal lavoro. Sta bevendo anche ora. Non tende a vantarsi del fatto di saperlo reggere bene, l’alcol, ma è così e ha la lucida consapevolezza di ciò che accade nel momento in cui sta accadendo.
Kurt trascina i gomiti sotto la schiena e si tira su, piano.
- Prendimi la busta che ho in tasca.
- Quale tasca.
- La tasca.
Matteo fruga in tre tasche diverse prima di tirar fuori la busta di coca.
- Tirami su.
Matteo lo aiuta a tirarsi dritto.
E Kurt, con la mano che trema, e con gli occhi che non mettono bene a fuoco, concentrandosi al limite delle sue attuali capacita cognitive, fa scivolare una dose generosa sopra il dorso del pollice, se lo avvicina al naso e si esibisce in una tirata rantolante, per poi ripiombare all’indietro, lui e la busta, solo che l’ultima cade con l’apertura rivolta verso il basso e la polvere rimasta si sparge per l’aiuola.
Cazzo. Cristo. Vaffanculo.
- Andiamocene.
Matteo da chinato che era si rialza facendo leva sulle gambe, come se stesse per spiccare un salto. Prende la birra da terra e aiuta Kurt a tirarsi su, cancella le tracce di coca dall’erba con un piede e recupera la busta.
Kurt gliela strappa di mano
- Cazzo.
Si bagna il dito e lo ficca dentro passandolo su tutti i bordi e se lo mette in bocca, strofinandolo sulle gengive.
- Andiamo a prendere da bere.
Matteo lo segue controllando la sua andatura, pronto ad intervenire nel caso Kurt cadesse o iniziasse a insultare qualche passante, ma le sostanze stanno agendo sul corpo del suo collega come un calmante, che ottusamente lo sta portando a cercare altra droga che faccia perdurare l’effetto.
Al bar Kurt prova a farsi vendere qualcosa dagli avventori rimasti fuori a fumare, mentre Matteo fa finta di nulla parlando di lavoro con il barista.
Poco dopo sente che qualcuno lo sta chiamando da fuori e continua a ripetere il suo nome, è sempre Kurt che con un sorriso schiacciato in una faccia rattrappita, sta sventolando la mano facendo segno di raggiungerlo.
Con la forza che prende gli ubriachi Kurt lo attira a sé e lo porta lontano dalla folla dei fumatori, improbabili spacciatori.
- Allora Kurt sei riuscito a farti dare la roba?
- Se mi alzi quella gamba ti porto a puttane con me.
- Ma va.
- Dai cazzo.
- Non mi va.
- Ancora? Sei un coniglio.
- Ma non ne ho voglia.
- Hai paura.
- No, non mi va ti ho detto.
Matteo si spalma in faccia un sorriso ebete come se quello fosse solo uno scherzo, ma Kurt ha lo sguardo serio, è come se lo stesse minacciando
- Figa ci facciamo una puttana in due! Cento per bocca e figa, un po’ per uno.
- Dai, non ne ho voglia, devo andare a casa.
Kurt lo stringe più forte e Matteo si abbandona alla sua presa per evitare di alimentare il suo non più latente desiderio di sfogarsi su qualcosa o qualcuno.
- Sei un cazzo di coniglio! Che paura hai, cosa ti costa?
- Cento euro?
- Poi te li rendo. Te ne rendo metà visto che faccio scopare pure te oppure me li dai e ci vado io. Dai!
- Devo tornare a casa.
- E a casa cosa fai? Una sega? Almeno io ti porto a scopare.
- No, sono stanco, domani devo uscire presto.
- Manco lavori domani.
- Vado a casa, prendo il bus che passa fra poco.
- Lo prendo anche io allora.
- Ok.
Kurt molla la presa, intanto sono arrivati alla banchina del bus.
Kurt non parla per cinque minuti buoni e il bus arriva.
- Cosa fai, sali con me?
- No, vado a prendere quello che mi porta a casa.
- Ok, fammi sapere quando arrivi.
Kurt non risponde, saluta e basta, abbassa la testa.
Fa caldo quella sera a Milano. È Luglio inoltrato. L’essere rimasto da solo fa tornare Kurt sobrio. Si ficca le mani in tasca, il telefono l’ha lasciato al lavoro, il portafoglio pure. Meglio così, pensa. Attraversa due incroci con il semaforo lampeggiante, in giro non c’è nessuno, e prosegue per il viale che oltrepassa la periferia. Kurt si guarda in giro e riconosce i palazzi, gli stessi che qualche mese prima avevano le persiane chiuse per il passaggio del corteo di Casa Pound a cui aveva partecipato. Qualche amico del quartiere di San Siro lo aveva seguito, armati di bandiera e mazze nascoste nello zaino, il viso bendato e i cori sbraitati a tutto fiato. Ora sentiva l’eco della loro marcia come qualcosa di lontano e sbiadito, senza importanza. Quel giorno era stato bello perché qualcuno gli aveva mostrato affetto. C’erano state strette alle spalle, mani serrate le une con le altre, braccia alzate in diagonale per sostenere i propri ideali. Si era sentito parte di una famiglia per un giorno ma ora quella famiglia si era andata a sgretolare in attesa del prossimo corteo, senza una data fissata e il permesso del comune che non era ancora arrivato. E adesso Kurt, in quella strada dalle persiane non più abbassate, si sentiva solo. Solo come lo era sempre stato. Solo in modo inevitabile. Ma era un bene che non avesse con se il telefono era un bene
perché altrimenti avrebbe chiamato a casa
e a casa avrebbe risposto la moglie di suo padre
e si sarebbe stizzita per l’ora
e gli avrebbe dato del fallito.
Meglio così allora, meglio camminare e fare cenni ammiccanti alle puttane per la strada che cercano di attirarlo nei loro appartamenti. Meglio che non avesse dietro i soldi: li avrebbe spesi tutti, avrebbe comprato della droga senza valutarne la qualità, avrebbe scopato senza sentire nulla, venendo in un preservativo al gusto frutta.
Era meglio continuare a camminare, passandosi le dita sullo scalpo, cercando di sfoderare le ossa dalla pelle, sfregandosi gli occhi erosi dalla stanchezza e dalle lacrime che scorrono senza controllo.
Era meglio dunque fermarsi a quel punto, tirare una testata contro il muro di una casa qualsiasi, sentire il sangue ardere gli occhi e guastare il sapore della birra in bocca?
Cos’era meglio?