La dodicesima solitudine
Riguardo vecchie foto ogni sera prima di addormentarmi, alcune le tengo sul comodino, appoggiate alla lampada, vicino alla sveglia. Capita che la mattina, ancora assonnato, tenda la mano e, invece di spegnere la sveglia, dia alcuni colpetti a queste foto. Continuo a farlo anche dopo aver capito che non si tratta della sveglia, forse per controllare che ci siano ancora, forse per accertarmi che ogni cosa sia successa davvero.
Non ho mai avuto molti amici, ma sono sempre stato circondato da tante persone. Fin da piccolo ho la passione per la fotografia, non era solo passione, ero davvero bravo, avevo un talento. Passavo giornate intere ad approfondire tecniche e segreti della fotografia, studiavo la luce, le angolazioni, la meccanica di ogni tipo di oggetto fotografico e poi uscivo a sperimentare ciò che avevo imparato. La mia stanza era tappezzata di foto di ogni tipo e formato. Un natale i miei mi regalarono la PlayStation e la vendetti subito per una nuova Polaroid.
Ero sempre circondato da tante persone perché tutti sapevano ormai di questa mia passione e tutti mi fermavano in continuazione per chiedermi di fare una foto, mi invitavano alle feste, alle gite, solo per questo. Venivano sorridenti da me e mi chiedevano una foto, la facevo e se ne andavano. Venivano sorridenti da me e mi dicevano vieni con noi che ci fai qualche foto, le facevo e se ne andavano.
Per i parenti ero una specie di fenomeno da baraccone, per gli altri bambini, e anche per i ragazzi più grandi, ero quello delle foto, non credo qualcuno mi abbia mai chiamato per nome, dicevano di farmi solo un favore a chiedermi di star con loro. E io ero d’accordo.
Eddy venne da me all’uscita da scuola mentre me ne stavo seduto in disparte a cambiare un rullino. Si era trasferito da poco da un’altra città, non so quale, dall’accento intuivo fosse del sud. Prese subito il suo ambito posto come bullo della scuola. Mi accorsi di lui solo perché la sua figura si mise tra me e la luce del Sole. Con lui c’era Max, il suo tirapiedi, la risata alle sue battute, i gettoni alla sua sala giochi, la corda al suo bisogno di bloccare qualcuno prima di picchiarlo. Iniziai subito a pensare a tutti i modi possibili per mettere in salvo la macchina fotografica. «Ehi tu, coso delle foto, domani io e alcuni compari bidoniamo la scuola, andiamo alle cave. Max dice di esserci andato, dice che ci fanno le sette sataniche. Devi venire con noi, ci servono tante foto. Alle 8 alla discesa... inutile dire che se non ti fai trovare potrai dire addio a quella tua preziosa cosetta». In quel momento Max mi strappò la macchina dalle mani. «Alle 8 alla discesa».
«Mà oggi non vado a scuola, devo andare alle cave a fare foto». «Ahah certo, ci vediamo a casa dopo pranzo, torno a casa più tardi oggi, c’è del riso in frigo. Buona giornata fotografo... fai il bravo a scuola». Quando arrivai alla discesa erano già tutti lì: Eddy, Max e i famosi compari, che si rivelarono essere la ragazza di Max, Lucy, e i fratelli più piccoli di Max: Jonny e Luke. Una strana compagnia. Pensai che neanche loro fossero messi poi tanto bene ad amicizie. «Ehilà coso, sei in ritardo, tieniti questa macchina e andiamo». Eddy mi lanciò la macchina fotografica e per un attimo il mio cuore decise di prendersi una pausa. «Cos’hai là?» chiesero Jonny e Luke all’unisono. «Ah questa? No niente, è una Polaroid». «Una che?» disse Eddy. «Può stampare le foto appena le fai». «Figo» disse Lucy. «Facciamocene una tutti insieme, prima di partire». «Bella idea» intervenne Max. «Coso, facci una foto». «Ma anche lui...». «Non fa niente» dissi, interrompendo Lucy prima che mi invitasse a far parte della foto.
«Ecco bravo, facci sta foto e andiamo dai» disse Eddy. Sembrava triste e un po’ agitato, come quando all’improvviso ti senti fuori posto anche in quelle situazioni che cerchi sempre per sentirti bene.
In quel momento ebbi un’intuizione, su quanto la solitudine possa indebolire e incattivire le persone, in modi differenti in base alle differenti personalità ed esperienze, come un liquido che ti riempie e prende la forma di ciò che sei, arrivando a mettersi tra te e la luce del Sole. Questa intuizione mi lasciò pensieroso per un po’ ma poi scomparve come se niente fosse.
C’era un bel Sole quel giorno. Iniziammo a scendere quasi correndo, curiosi di scoprire chissà quali oscuri segreti nascosti tra quelle cave. Max e Eddy erano davanti a tutti, sparivano tra gli alberi e i cespugli e li trovavamo in ginocchio a ispezionare pietre, segni o oggetti sospetti. «Vedi questo!» diceva Max. «Non è niente» diceva Eddy, e ripartivano. Ogni tanto Eddy urlava: «coso stai facendo le foto?!» Ogni tanto Max si nascondeva e sbucava di colpo per farci spaventare. Lucy badava ai fratellini di Max, io stavo con loro, ma badavo solo a me stesso.
Lucy era molto carina e gentile, mi tempestava di domande, su di me, sulla fotografia, sulla scuola. Rispondevo nel modo più breve ed evasivo possibile. Ma, invece di rassegnarsi, la prese come una sfida, così iniziò a parlar di sé. Andava in un’altra scuola, una scuola privata con le suore al posto delle maestre e la Bibbia al posto delle merendine. Disse che non era così male, ma lo disse facendo capire di non aver nulla con il quale poter fare dei paragoni. Teneva per mano Jonny e Luke che sembravano essere la parte buona dei geni di Max, o forse non avevano ancora incontrato il loro Eddy.
«Sono figlia unica, ma me la so cavare bene con i bambini. I miei non sono molto credenti ma volevano che andassi in una scuola che mi tenesse anche il pomeriggio e soprattutto che fosse senza maschi, non è servito a molto ahah. Fanno gli avvocati, io non credo che farò l’avvocato però. Vorrei insegnare. Max l’ho conosciuto in gelateria, mi era caduto il gelato e me ne ha offerto uno, è molto gentile se lo conosci bene...» Lucy parlava a raffica, mi stava riempiendo di informazioni su di lei e sorrideva, sorrideva sempre mentre parlava e alternava lo sguardo tra me e il nulla e io iniziai a sentire il bisogno di fotografare ogni minima espressione del suo viso.
«Ehi ma qual è il tuo nome?» chiese.
«Coso, stai facendo le foto?!» L’urlo di Eddy anticipò la risposta, prese la realtà e me la buttò in faccia.