La rivalsa
Marco ha appena spento il computer. Gli occhi rossi, un paio di sbadigli. Si infila i calzettoni di lana che sua madre gli aveva regalato il natale scorso. Esce in terrazza e si tira su una canna dopo aver preso una birra dal frigo. Fuori fa freddo per essere ottobre, ma la birra ghiacchiata e l’aria pungente appaiono un toccasana per lui in questo momento.
Cazzo, un’altra giornata nel cesso. Non riesce a capire fino a dove arrivano i suoi limiti ancora. Li lambisce, li trastulla, li tocca con mano leggera. Ma non riesce a superarli. Chiude gli occhi per un momento, immagina di prendere tutti quei sogni che volano per aria e di portarli giù a terra con un forte tonfo. Pensa di distruggerli tutti come tante statuette kitsch di porcellana a forma di castello di pan di zenzero.
Aspira lentamente il fumo, lo tiene nei polmoni e poi lo butta fuori dalle narici: un drago nel buio della sua caverna, pensa.
Ha sacrificato tutto, nei pochi anni di vita in cui abita questo suo corpo di materia in questo tempo. La musica, gli amici, la famiglia. Si è allontanato da tutto quello che gli era più caro per non distruggerlo più, per salvarli e salvarsi.
La malattia che due anni prima si era portata via suo padre non lasciava tregua nemmeno un momento alla sua testa. Ogni mattina una lacrima scendeva dai suoi occhi di ghiaccio, impassibili e impenetrabili per gli altri. Ora in questo piccolo monolocale che per fortuna, concede una vista sul canale si sente solo e perduto, abbandonato a quello che lui stesso si è scelto come personale disfatta. Scappare.
Anni di studi intensi, un dottorato e mille lavori precari lo avevano portato a scappare fino a Parigi, lì, sopra San Martin, tra quelli che prendono la metro a ore impossibili schiacciati nei vagoni con una faccia da cazzo indicibile per andare a lavorare in qualche bistrot o ristorante, negozio. O vagare per ore senza meta, come lui.
Marco, in realtà ama Parigi, ama lo spirito della città. Per lui, nonostante tutto è stato come rinascere in altra forma, un’altra forma alla sua materia. Poteva essere chi voleva.
Louise, la tipa con cui ogni tanto esce e se la spassa non è niente male. È intelligente, spigliata, sogna ancora le rivoluzioni studentesche degli anni Sessanta. Pensa che cambiare il mondo sia ancora possibile. pensa che ogni sforzo non è mai vano, e cerca sempre di tendere una mano a Marco che con ritrosia sfugge sempre da quei discorsi pseudo-motivazionali, come le fa notare. Marco non ha bisogno di discorsi, ha bisogno di birra e di abbracci. I sogni di Louise e il suo cuore profondo come i suoi occhi gli danno motivo di percepire un lambiccare di spiritualità.
Prende il cellulare barcollando, morto di sonno e di ansia digita il numero di Louise, anche se è tardi e sa che forse lei è a bersi qualcosa fuori o molto probabilmente a casa a scrivere febbrilmente articoli sulla storia del socialismo immersa in tomi enormi. Ci teneva alla sua ricerca ed aveva fatto del contino studio un suo rifugio personale e intimo.
Sente che sta per arrivare il solito attacco di panico, il solito campanello che suona come una sirena dell’ambulanza.
Risponde al terzo squillo. Marco sospira forte e le chiede se le andrebbe di vedersi da qualche parte.
Si trovano alla Bastille, entrano in un localino un po’ annebbiato e ordinano una bottiglia di bianco. Louise chiede cosa c’è Marco, che faccia hai.
Lui le dice hai ragione Louise, mi devo dare una scossa, non posso stare fermo così. E non è il lavoro.
La libreria italiana vicino a Place de Vosges gli piace un sacco, anche se il proprietario è un burbero vecchiaccio convinto ancora di tante cose che ormai non esistono più. Ma cazzo che gioielli che riesce a farsi arrivare.
Il vecchio davanti a tazze di caffè cercava continuamente di parlare con Marco. Lui lo stava ad ascoltare, assentiva e commentava, ma non parlava mai della sua vita, al contrario del vecchio a cui piaceva moltissimo raccontare un mucchio di aneddoti. Forse Marco gli piaceva per il suo silenzio, perché si sentiva ascoltato e tamponava un po’ quella solitudine con il carattere assertivo che Marco dimostrava durante le ore di lavoro.
Marco si apre come non aveva mai fatto prima d’ora con lei. Stupita, Louise appare ancora più allarmata di prima e si chiede il perché di tutta questa foga. Marco la incalza, parla concitato e gesticola tantissimo. Dice di avere un’idea, dice di non volere più soffrire, di non voler più fare il ratto e nascondersi, ma alzare la testa: il futuro è adesso capisci Louise?
Stava meditando una vendetta. Una vendetta contro sé stesso, o meglio contro la realtà materiale dei fatti. Quello che era successo ormai non si poteva cambiare: né la morte, né la sua decisione di scappare dalle sue radici. Le avrebbe messe altrove. Ogni vita ha la sua storia, il suo corso materiale per quanto le vite degli altri, come specchi ci mostrino quello che agli atti un essere senziente compie ogni giorno.
Sarebbe stata una vendetta dolce. Si sarebbe costretto a tirare su la testa, forse per la prima volta nella sua vita, per non sentirsi più un fantasma invisibile i balia delle scelte di un fantomatico destino che potrebbe benissimo a suo avviso non esistere.
Il problema non erano i soldi, non era la fama né la gloria. E forse neanche l’invisibilità. Quello che gli mancava era il sole. E se lo sarebbe ripreso, eccome. Ora o mai più, la costrizione della vita materiale andava costruita, un pezzo alla volta ma anche velocemente. Tutto e niente facevano parte della stessa esistenza, si pescano le cose un po’ a casaccio, lottando e a colpi di culo. Sa che deve essere forte, ma di una forza che si distacca dalla tenacia e atterra verso la resilienza. Una lotta silenziosa contro i demoni quotidiani che verranno sempre a trovarlo, fino alla fine dei suoi giorni. Stava a lui decidere in che modo accoglierli all’ingresso.
Tornano verso casa camminando tra la notte, prendono poi un autobus notturno, camminano di nuovo. Avevano un po’ esagerato con i bianchi. Louise sembra felice, si accende una sigaretta e aspira profondamente. Capisce quello che si sta scatenando nella sua mente. Nonostante Marco non se ne rende conto, per Louise sono pochi i segreti che lui riesce a nasconderle. Pensa di amarlo infondo.
Arrivano a casa di Marco. Dopo una doccia calda si stendono a letto. Guardano il soffitto tenendosi per mano.
Marco va tutto bene, è una scossa, è quello che ti serve per cambiare direzione. Andrà tutto bene. Poi ci sono io, lo sai vero?
Marco si volta verso di le e le regala uno sguardo carico di tenerezza. Le da un leggero bacio sulla fronte, poi si gira dandole la schiena. Louise lo stringe e gli sussurra più volte all’orecchio: non avere paura; finché il respiro di Marco non si fa più regolare ed entrambi cadono nel sonno.