Lacerazione
Bianco. La vita può cambiare da un’ora all’altra. In peggio.
Mi trovo seduta attorno a un tavolo, le persone attorno a me parlano, raccontano delle loro vite, scherzano, volano cazzate, risate. Seguo il ritmo della serata, cerco di soppesare i silenzi e di intervenire nelle conversazioni cercando il momento giusto. Studio le interazioni che si creano e seguo il flusso. Voglio sentirmi a mio agio, so che queste persone mi vogliono bene e sono contente di avermi tra loro.
Non sono abituata a mangiare il pesce: arriva questo piatto enorme di spaghetti con le vongole e i gamberoni e mi si illuminano gli occhi. Non capisco all’inizio che devo mettere da parte i gusci dopo aver mangiato l’interno dei molluschi e faccio un gran casino, sporcandomi come una bambina con il gelato al cioccolato.
La mia amica mi da istruzioni e io, anche se indietro rispetto agli altri, mi impegno al meglio col piatto di pasta. Li osservo. Cantiamo, il vino è buono, anche il fumo.
Vorrei abbracciarli tutti, sento una batteria in testa. Parliamo di tante cose diverse, dalle più astratte alle più concrete e banali, rimango con le ragazze e mi perdo nei loro discorsi, nei loro gesti, nel modo in cui muovono gli occhi.
Mi domando come mi sto muovendo io, come si muovono i miei occhi, se sto perdendo il ritmo delle conversazioni. Mi rendo conto di ascoltarne tre contemporaneamente. Mi sento stupidamente felice. Sporca di sugo e pezzi di gusci, vado in bagno a rinfrescarmi il viso e le braccia.
Sono cosi stupidamente stupita da come le persone mi considerano, del rispetto che hanno delle mie opinioni, che mi lascino parlare.
Non sono atti semplici da capire per una persona che ha passato la maggior parte della vita in solitudine, bullizzata, che per un po’ di socialità si vendeva come i teli da spiaggia. Quel made in Italy finto, prodotto dello sfruttamento di lavoratori immigrati stipati in capannoni malsani.
Il mio cuore è pieno di amore e vongole. Arriva il gelato al mango e la mia felicità cresce assieme alla grappa alla menta di nonna Marta. Sento un costante vuoto accanto a me. Mi arrivano messaggi strani al cellulare da parte di Achille. Non riesco a capire. Ignoro, anche se ho un po’ di paura nel tornare a casa per vedere cosa mi aspetta. “Ti meriti il peggio.”
Non capisco e diluisco la grappa con l’acqua per togliere il gusto del gelato così da potermi gustare una sigaretta.
Torno a casa. Le luci sono accese, lui è sveglio e puzza di alcol. Mi spoglio ed entro in doccia. Sono tranquilla. Mi insapono bene. Quando esco lo trovo in terrazza a fumare.
È finita mi dice. Io non ci credo. Cado dalle nuvole.
- Tu non dovevi metterti in mezzo alle mie questioni. Hai messo in mezzo anche i miei amici. Perché lo hai fatto? Io non ti capisco. Non hai imparato un cazzo da tutta la tua vita. Sei un’egoista.
Il mio stomaco si squarcia. Continuo a non capire. Io l’avevo fatto per amore. Lo avevo visto uscire di casa poche ore prima, ci stavamo salutando dal balcone io e dalla strada lui. Era così bello, io non volevo che nessuno gli facesse male. Mai. Sono impulsiva, sono protettiva, sono territoriale, ho un forte senso di giustizia. Non avrei mai voluto tradire la sua fiducia con un atto d’amore disinteressato.
Cosa volevo dimostrare?
Niente, come sempre. Volevo che non fregasse a nessuno.
Lacrime di notte. Mi stringe forte, mi dice non te ne andare. Io ho un groppo alla gola, non riesco a dormire nello stesso letto con lui. Sento le sue lacrime che mi bagnano la fronte. Sento le mie, che ingoio una alla volta finché non finisco a vomitare bile abbracciando il water. Mi devo chiudere dentro e respirare, lui mi segue, non vuole perdere il contatto fisico.
Albeggia. Il cielo è bianco di nuvole leggere. La mia vita improvvisamente è bianca come il cielo, come il fumo delle trenta sigarette che ho fumato la notte. Chiamo un paio di persone fidate per salutare. Preparo le valigie e tra le lacrime mi chiudo la porta alle spalle, per l’ultima volta.
Lascio il vestito di seta sul letto.