Le generazione di mezzo
È con questi nomi che ci mostriamo al mondo
chi svelando, chi celando
i propri difetti, le qualità.
Ma è qui che possiamo essere onesti
A giusta distanza.
Poi, in base al consenso, ce ne facciamo forza/ debolezza nella vita reale, chiudendoci/scoprendoci agli altri.
Osservi e dalla tua soggettività trai le conclusioni, spiattellate
in forma orale, scritta.
Dipende dalla personalità.
Puoi crearci un verso, parlare in modo aperto a una videocamera.
Registrati e confluisci nel rigurgito di milioni di persone.
Ma sei sempre tu, crogiolo d’insicurezza privata
ti difendi, attacchi
lontano dalla fisicità altrui.
Distanti per diritto acquisito alla nascita in questi anni
in cui ciò che era certo
si è mostrato fragile
In cui ciò che avremmo dovuto ottenere
non ci è consentito ottenerlo.
Lasciati a traballare su assi di legno
poggiate sopra l’abisso di un futuro
senza margini.
Eccoci così riuniti, divisi da caselli
da ettari di terra privati della propria natura
da chilometri di acciaio e ferro e cemento
dal veleno dei corsi d’acqua.
Divisi da pareti, dall’educazione, dal sesso, dai parenti, dalla retorica.
Chiusi nelle nostre stanze, uniti sì
ma ostinati nel costruirci il nostro inferno personale.
Eccoci così riuniti a lanciare flebili grida sulla nostra condizione di apolidi.
A guardarci l’un l’altro, in cerchi concentrici, senza ottenere nulla da coloro che dall’alto della loro confortevole vita adulta
ci giudicano come esseri umani incapaci di affrontare
una comune vita come tante.