Leggera
Mi chiedo cosa dovrei farmene ora di tutto questo bene, dove lo metto. Nel vuoto siderale tra clavicole e scapole indurite dalle emozioni che non sanno in quale senso girare e vorticano ricadendo su se stesse, risucchiate dal nulla cosmico. Dove appoggio questi avverbi di tempo sgualciti, tirati dalla gravità terrestre e aggrappati a me come petali di fiori troppo irrorati. Mai, sempre, ancora, prima.
Cosa me ne faccio della tua assenza, dei sorrisi pensati per te che, come regali, se li ricicli non significano niente. Esco e cammino in strade familiari, annuisco al mondo. Tutto quello che avevo da dirti ieri, oggi l’ho chiuso in una scatola. Silenzio. Cedo arresa a braccia che mi afferrano, affondo la testa in altre guance irsute, rimbalzo il ricordo al volo e chiedo venia per questo disagio innominabile, ‘ché tu non sei mai esistito. Fino a qui tutto bene, certo. Ma questo bene, tu dimmi, io dove lo metto?
Ora che hai ammonito ogni ricordo, verniciato di nero come una quinta mobile da spostare in terza fila. Adesso che le tue generalità non appaiono nel mio registro e mi osservi a distanza come un giudice imperturbabile. Cosa me ne faccio, ora, di questo sacchetto di belle parole mai usate, che portano tutte il tuo nome?
Ne faccio il combustibile con cui impregno lo straccio della mia coscienza, riempio la bottiglia infrangibile delle mie aspettative, lo lancio in volo sopra i tuoi muri e poi scappo, corro a perdifiato, finché il boato della combustione non mi scaraventa in avanti, mentre alle mie spalle ogni cosa brucia inghiottita da una nube evanescente.
Oppure.
Lo abbandono qui e non guardo, lo prometto. Anzi, me ne vado proprio. Casomai nel silenzio volessi prenderlo, troverai il mio bene dove l’ho lasciato e potrai portartelo via senza che nessuno – io compresa – se ne accorga. Allora sì, troverebbe finalmente il suo posto addosso a te e io sarei di poco più leggera.