Lettera ad un figlio mai nato
Amore mio, sono la mamma, quella donna goffa ed eccessivamente sorridente che ti sta sempre accanto anche quando non lo sai. Probabilmente quando riceverai questa lettera sarai già grande, te la nasconderò sotto il cuscino e la troverai soltanto una volta ritornata a casa con i vestiti che puzzano di fumo e il morale a zero. Perdonami, l’altro giorno non avrei voluto sgridarti per le sigarette dentro lo zaino, vorrei solo che tu fossi felice, vorrei che tu fossi migliore, soprattutto migliore di me.
Io non ricordo nemmeno d’averli avuti vent’anni, ero sempre in giro a consumare le suole delle mie scarpe, a stendermi al centro di ogni piazza smisurata che incontravo sul mio cammino per avere una visuale migliore del cielo, a inseguire le mie voci preferite per l’Italia e le mostre su Marina Abramović che era madre e musa del lembo pieno di vita posto al centro della mia persona.
Lo vedo che sei infelice amore mio e questo mi terrorizza e mi rende triste. Se potessi ti porterei uno specchio e ti farei vedere quanto sei bella anche se dici il contrario, con quegli occhi blu che hai strappato al mare di Antibes, quelle mani lunghe lunghe per afferrare meglio la vita e le gambe forti forti per correre veloce in mezzo al vento. Ti vedo che hai la mia stessa urgenza, la stessa fretta di fare le cose, la stessa puntualità ad arrivare agli appuntamenti e la stessa paura del buio. Sento quando quella musica che fa rumore viene silenziosamente sostituita con le parole gentili di Lucio Dalla e quando canticchi “She loves you” dei Beatles senza farti sentire, quando scrivi fitto fitto sulle pagine di quel diario che più volte ho trovato nella pattumiera e che più volte ho rimesso al suo posto, sul comodino affianco al letto. Non smettere mai di scrivere amore mio, tutti dovrebbero scoprirne la bellezza, ero certa tu l’avresti fatto.
“Ho visto Nina volare tra le corde di un’altalena”. Sorrido pensando a tutte le volte che hai girato gli occhi all’insù mentre io e tuo padre ti cantavamo questa canzone, un po’ per farti arrabbiare un po’ perché quando l’ascoltavamo da giovani pensavamo a te e a come saresti stata, come avresti cambiato le nostre vite, mentre passavamo le notti a fissare i soffitti e ad immaginare De André che le contava che i capelli con le mani sudate. Pensavo la odiassi e invece poi te la sei tatuata di nascosto sul fianco sinistro, vicino al cuore. Ci hai sempre amati e capiti più di tutti gli altri nonostante il tuo carattere scontroso e aspro.
Era proprio questo quello che avrei voluto nella mia vita. Una famiglia.
Invece in un freddo giorno d’inverno è arrivato, con voce decisa, quel medico che non sapeva nulla di me eppure ha avuto il coraggio di spararmi al centro del cuore «Perda ogni tipo di speranza, non s’illuda mai, lei non li può avere i figli, ha l’utero freddo. È colpa della chemio.»
Quel giorno sono tornata di nuovo bambina, sono morta per l’ennesima volta. Proprio io che ricordo ogni singolo momento, l’odore preciso di ogni mattina di merda che ho vissuto nella mia vita, le mattine delle brutte notizie. Avevo imparato a deglutirle con gli anni, a non storcere più il naso al suono di alcune parole, me l’ha insegnato tuo padre quando ha accarezzato per la prima volta una delle mie cicatrici senza timore, guardandomi fissa negli occhi. Invece quel giorno, di nuovo, da capo, ho dovuto imparare a disinnescare. L’ho dovuto fare con i miei sogni, i sogni di una ventenne fatta e finita, indipendente, emotivamente quasi forse stabile, innamorata della vita e dell’amore, lettrice e scrittrice stralunata, amante feroce di me stessa e dell’allegria. Quale allegria?
Avrei tanto voluto una bambina di nome Nina, come quella canzone speciale che tanto amavamo a cantare e come la mia maestra di italiano alle elementari. Era una donna divertente che ci leggeva le filastrocche di Gianni Rodari e ci insegnava ad essere gentili e coraggiosi. Lo siamo diventati tutti di quell’intera classe. Nina. Ti avrei voluta esattamente così, con i capelli biondo cenere, gli occhi blu e i nostri sorrisi mischiati. Avrei voluto una figlia che profumasse di foresta, una figlia che amasse bagnarsi i piedi con l’acqua del mare, ridere forte tanto da dar fastidio a tutto il palazzo, con la stessa nuca del padre. Avrei voluto una figlia da abbracciare, con la quale poter fare il girotondo per insegnarle che è bello cadere per poi rialzarsi più forti di prima. Nina. Avrei voluto insegnarti a memoria le canzoni che avevano salvato me da giovane, raccontarti in quale magico modo avevo conosciuto tuo padre e insegnarti l’amore. Avrei voluto portarti in giro per il mondo affinché potessi coltivare la passione per i vicoli stretti e le piazze grandissime, che avessi la curiosità di vederne sempre di più per fare collezione di bellezza e non rischiare di rimanerne senza.
Invece mi hanno tolto i tuoi primi passi, la prima parola, i tuoi occhi accecati dalla luce del mattino, le mani che prendono, le labbra che chiedono, la prima canzone e il primo dente perso. Mi hanno tolto il primo libro letto, il primo film, la prima richiesta di aiuto, il primo grembiule e il primo zaino pesante; il primo disco ascoltato in cameretta, la prima porta sbattuta, il primo silenzio, il primo orecchino e il primo tatuaggio colorato; il primo amore, il secondo, di nuovo il silenzio assordate, la prima birra scolata tutta d’un fiato, la prima sofferenza manifestata, il primo concerto e le prime ossa rotte, vaffanculo. Mi hanno portato via tutto. «Che cazzo esisto a fare adesso?» ho pensato.
Ti scrivo una lettera perché non sono mai stata capace di parlare. Scusami perché non avevo un foglio di carta, e allora ti scrivo sopra questo vuoto che condividiamo, su questo buco nero appena dietro le nuvole.
Ti avrei voluto preziosa, rara, incontaminata. Ho fallito. Proprio io che ce l’ho sempre messa tutta.
Mi dispiace amore mio, so che ti sarebbe piaciuto poter giocare con gli altri bambini del mondo e lasciarti accarezzare dal sole di marzo ma purtroppo non nascerai mai. È questa la nostra disgrazia, che non potremmo mai prenderci la mano.
Ma io sono fatta così, la speranza non la perdo mai e allora se un giorno dovessi venirci a trovare ti prometto che sarai gentile, che saprai dire “grazie” “prego” e “mi manchi” più spesso rispetto a tutte le tue amiche. Prometto che spedirò per te tutte le lettere che vorrai recapitare al tuo amore lontano, ti dirò che non si è mai troppo distanti per trovarsi e che è tutta una fregatura questa delle mille strade che vi separano perché le anime si possono toccare anche solo attraverso lo stesso vento messaggero.
Prometto che se ci sceglierai sarai amata moltissimo, che nascerai tra l’amore di due corpi e due cuori che non hanno mai saputo esistere l’uno senza l’altro. Prometto che qualsiasi catastrofe colpirà la tua persona e la tua psiche arriverà per renderti migliore, per insegnarti che tutto quello che vale davvero è chiuso nelle cose più piccole e più inutili. Prometto che t’insegnerò ad andare in bicicletta per far sì che tu non possa più fare a meno di avere le mani e le labbra spaccate in inverno e gli occhi lustri in primavera. Prometto che riuscirai a trovare la bellezza ovunque ma soprattutto in te stessa e riuscirai ad amarti e onorarti finché morte non ti separi.
Nel frattempo guarderò, toccherò e sentirò il mondo anche per te amore mio.
Prima o poi tua,
Mamma