Dalle ante in legno costruite con con assi di recupero filtra il tramonto rosato. La lanterna appesa allo stipite ondeggia leggermente scossa dal vento, producendo uno scricchiolio ritmico rassicurante. Senza muovermi dal letto, riesco a vedere le onde oceaniche schiumare lentamente a riva, per poi ritrarsi rapidamente. Stiro le gambe anchilosate, spostando la zanzariera rattoppata infinite volte per buttare un'occhiata rapida alla stanza. Si sente profumo di caffè, Paulina è già sveglia. Riconosco le note de “la llorona” cantata da Chavela Vargas, non certo un pezzo da risveglio in allegria, considerando che la leggenda narra di uno spirito destinato a straziarsi e che il nome deriva proprio da “llorar”, piangere. Mi decido ad alzarmi, quantomeno per cambiare musica.
Ogni lunedì mattina andiamo a turno in città per la spesa settimanale, oggi tocca a me. Nell'infilarmi la maglia a righe noto una macchia di vernice, non riesco a risalire alla causa. Ogni volta che mi spoglio per farmi un bagno lancio i vestiti dove capita, dovrei fare più attenzione, non abbiamo a disposizione molta acqua e tutto quello che possiedo sta in uno zaino. Ad ogni modo, la signora della lavanderia non passerà per il ritiro prima di mercoledì, quindi non ho alternative. Nessuno farà caso a me nel caos del mercato.
Paulina prepara sempre due caffè: per me deciso e scuro come petrolio e il suo più leggero, simile a tè nero.
– Buongiorno principasta!
– Oh, ti prego Pauli, smettila di chiamarmi così!
- Ci siamo alzate con il piede sbagliato? Non fare così mi amor! - ride, schioccandomi un bacio sulla guancia e allungandomi la tazza di caffè – ieri sera hanno ucciso Pedro, il ragazzo della tienda rossa.
- Ma che cosa dici? Chi l'ha ucciso? Come? Quando? Perché? Dov'è la polizia?
- Oh-oh! Niña, fermati con le domande! È arrivata la banda al pueblo qualche giorno fa... sarà stato immischiato in qualche storia. Nessuno lo sa, la polizia arriverà e farà le domande che deve fare. Tu non preoccuparti, vai in città e compra il tuo basilico e il formaggio. Nessuno ha interesse a molestare una ragazza con la faccia da europea, porterebbe solo seccature.
- E se lo facessero comunque? E Pedro? Come fai a non essere sconvolta?
- Non ti disturberanno. E Pedro... beh, aveva i suoi guai, se sei nato qui lo sai come vanno a finire certe cose. Ora smettila con le domande e vai, o perderai la camioneta.
- Ma...
- Vai.
La camioneta è un pick-up adibito a taxi collettivo. I passeggeri viaggiano seduti nel cassone posteriore su due panche parallele, saldate alla struttura in ferro coperta da telo cerato. Sono circa una decina quelle che collegano la costa alla città, percorrono la stessa unica carretera provincial ogni giorno avanti e indietro, dall'alba al tramonto. Non esistono fermate, è sufficiente posizionarsi in strada e fare un segnale con la mano.
Aspetto rannicchiata all'ombra dell'aloe gigante, fa un caldo che non riesco a ragionare e la notizia di Pedro mi ha scossa. Lo conoscevo soltanto di vista, lavorava alla tienda rossa dove vado a comprare il tabacco trinciato, ma la relazione distaccata che qui hanno con la morte è difficile da digerire per chi la associa ad abiti scuri e compostezza. La signora in piedi accanto a me indossa sandali andini in cuoio battuto a mano e porta i capelli raccolti in trecce che si uniscono poco sopra la fronte, tenute insieme da un fiocco rosso vermiglio e turchese. Il suo sguardo fissa il punto in cui la strada svolta, come se avesse paura di farsi sfuggire l'arrivo del mezzo. L'uomo accanto a lei ha gli stessi sandali, guarda verso di me, aspettando una mia occhiata per prendere parola.
- Ci vorrà più del solito, la polizia sta fermando tutti mezzi per perquisirli. Stai andando in città?
- Sì, al mercato.
- Anche noi, la sto accompagnando a piangere a casa di Pedro.
Parlando, il vecchio indica la moglie, che mi scruta di sottecchi da cima a fondo, facendo un cenno di mento in segno di saluto.
- A che?
- A piangere! Lei è una llorona, piange per i defunti.
Il mio sgranare gli occhi lo stimola a continuare il discorso, con una punta di orgoglio.
- Qui si usa così, tutte le donne della nostra famiglia si guadagnano da vivere facendo questo mestiere. Pagano, capisci? Non importa chi sia, ogni lacrima versata è un giorno in più nel regno dei muertos. Vero o no che sia, nessuno vuole correre il rischio di essere dimenticato.
- Capisco sì, anche da noi si faceva.
- Da dove vieni tu? Sei del sud?
- No, sono italiana.
- Ah, italiana, ti sei fatta morenita, eh! - dice, indicando alla mia abbronzatura – Europei... come siete voi! Tutti Frida Kahlo e Tina Modotti. Vi piace lo spettacolo, la rivoluzione, ma questo è il Messico, questo pueblo è l'angolo più vero del paese. Hai scelto bene, ragazza!
Senza girarsi verso di noi, la signora fa un suono con la bocca per zittire il marito, mentre agita il braccio teso in direzione della camioneta. La salita a bordo è un rituale, il cassone alto non sempre è fornito di scalini. Ogni passeggero ha il suo ruolo, chi è più in prossimità del fondo ha l'implicito compito di aiutare l'arrampicata, mentre quelli più indietro si adoperano per incastrare le borse di ognuno. Lascio che la coppia salga prima di me, poi allungo la mano ad un giovane biondo, forse nordamericano, a giudicare dai sandali tecnici. Gli europei li riconosci subito: son gli unici con le Birkenstock da intellettuale in vacanza, me compresa, naturalmente.
Siamo in otto stipati su due file, gli occhi rimbalzano come palline da ping pong, tutti guardano tutti, limitandosi a spostare lo sguardo solo quando vengono scoperti. Gli ammortizzatori ci fanno sobbalzare ad ogni buca, per poi riatterrare violentemente sulla panca dura. Solo i più temerari non si aggrappano alla struttura, tenendo i piedi ben allargati per rimanere in equilibrio, mentre il corpo segue le curve facendoli sembrare impegnati in una danza tribale.
La llorona, la “signora che piange su commissione”, lascia scivolare a terra un sacchetto di plastica dal quale cadono due bambole di pezza e alcuni bastoncini di copal, l'incenso sacro dei Maya. Si accorge della mia curiosità e senza chinarsi sposta con il piede gli strumenti di lavoro verso la busta, dandomi il permesso di osservarli.
- Paloma negra!
- Come dice?
- Nelle tue cuffie, stai ascoltando paloma negra di Chavela Vargas.
- Ah sì, le piace?
- Non saprei, mi è indifferente. Non sono una paloma negra io, sono una llorona.
In un istante vengo travolta dall'istinto di tirare fuori il telefono e chiedere alla donna di ripetere quanto detto. Vorrei farle un video e mandarlo a casa, a conferma di essere nel posto giusto, visto il mio legame con le due canzoni, ma è chiaro che rovinerei tutto e mi perderei il momento, quindi accantono l'idea, provando improvvisamente imbarazzo per averla pensata.
- Paloma Negra è una canzone triste, parla di dolore. Le sembro così?
Scuote la testa con un sorriso di sufficienza che mi fa sentire superficiale.
- Io non ti conosco, ma la paloma negra non è infelice, è arrabbiata perché non trova ciò che vuole. La llorona, piuttosto, è per sempre legata al suo destino. Sei stata più fortunata.
- Se il tormento è fortuna.
- È normale, cerchiamo sempre delle risposte chiare dalla vita, dagli altri. È perché non sappiamo fare i conti con l'incertezza, ma più ti ostini, meno ne troverai. Ogni risposta porta nuovi dubbi.
- Non mi piace la rassegnazione, sarebbe a dire che dovremmo accettare l'ignoranza.
- No cara, non si tratta di ignorare, ma di scegliere. Arriva sempre un momento in cui devi decidere che quello che hai capito è abbastanza. Da lì, puoi iniziare a costruire e non più distruggere per insoddisfazione.
La camioneta si ferma, scendiamo tutti, l'uomo e la llorona mi salutano accennando un inchino e proseguono in direzione della casa di Pedro, io giro a destra verso il mercato. Si dice che Pochutla sia la città più brutta del Messico, non vanta quello sfolgorare di colori dell'architettura colonica e gli abitanti non indossano più abiti tradizionali, fatta eccezione per i contadini al mercato, per questo è poco attraversata dai turisti. Eppure, oggi mi sembra bellissima.