La villa era grande, si divideva in tre appartamenti di tre piani ciascuno, uno accanto all’altro. In estate il sole batteva luminoso e accecante sulla muratura bianca e il lontananza si poteva scorgere il mare, oltre la pineta.
Lei abitava nel primo appartamento da sinistra, osservando la grande casa dalla strada.
Era minuta e pallida, i lunghi capelli biondi e lisci le ricadevano sulle spalle come tanti filamenti di un dorato sbiadito. Poteva stare poco al sole e si doveva sempre coprire gli occhi con un cappello dalla tesa larga o degli occhiali da sole dalle lenti grandi e scure.
Amava vestirsi di colori chiari e tenui e usciva sempre con una borsa di stoffa bianca un po’ lisa. In estate calzava delle ciabatte nere di pelle a due fasce e camminava per il paese dietro le sue grandi lenti. Si fermava nei piccoli negozi, nei bar all’angolo. Beveva caffè freddi e vini bianchi, parlava con i commercianti del più e del meno e rientrava sempre dalle sue lunghe passeggiate con almeno un libro che comprava da Cisco, il suo libraio di fiducia.
Dal terzo piano di ciascun appartamento, si poteva accedere ad una grande terrazza di un bianco abbacinante, il parapetto a colonne affusolate candide di calcestruzzo e robuste. Agli angoli c’erano grandi vasi con piante di fico d’india. La luce copriva tutto, sembrava che ogni cosa fosse distante e che la terrazza fosse infinita. Viveva in quella casa la maggior parte dell’anno, perché il suo lavoro gli permetteva di poterlo fare. Amava la sua solitudine e la portava in grembo come un segreto, il suo sorriso emanava calore e franchezza e non mancava mai di abbracci o parole di sostegno.
La piccola città sapeva infondere calore anche nei mesi più freddi, di abitanti ce n’erano, e la comunità era accogliente e allo stesso tempo discreta. Ormai era anche la sua cittadina.
Passava molte ore chiusa in casa, con ampie finestre aperte a leggere, scrivere, raccontando a sé stessa storie sempre nuove.
Si perdeva tra le coperte, le tazze di infuso e di succo al mirtillo, mentre divorava pagine su pagine, mentre scriveva cose che nessuno avrebbe mai letto.
Spesso saliva sulla grande terrazza, durante le ore in cui il sole era più alto o tramontava e osservava il panorama. Guardava all’interno delle finestre degli altri due appartamenti, facendo particolare attenzione all’ultimo a destra. Nei mesi più caldi a partire da maggio, veniva a viverci un ragazzo, da solo, e lì in cima, si era creato la sua camera, che dava appunto sulla grande terrazza. Erano più o meno coetanei ma avevano due stili di vita completamente diversi.
Lui amava la notte, che passava raramente a casa, mentre lei solitamente crollava con un libro davanti la faccia.
Il suo spirito di osservazione l’aveva portata a pensare che fosse un gran festaiolo, ma anche lui un tipo discreto; non faceva mai venire nessuno in casa sua, proprio come lei. Si sentiva affine al suo spirito, vedeva quanto era giocondo quando fumava nella grande terrazza, mentre lei lo osservava alle sue spalle.
Le loro interazioni, da che si conoscevano, erano sempre state repentine e telegrafiche, ma molto cortesi. Gli occhi di lui, così sinceri non facevano trasparire nulla del suo stato d’animo, cemento del colore del burro; i suoi invece erano sempre rivolti altrove.
L’anno passato, si incontravano a chiacchierare nella luce della grande terrazza molto più di frequente e tante volte andavano a bere insieme verso il porto. Ridevano molto e nonostante entrambi fossero di poche parole erano diventati buoni amici, vasi da riempire di parole e sguardi. Si erano avvicinati l’un l’altra lentamente e avevano costruito il loro personale lessico di affetti.
Aveva imparato, negli anni, ad attendere il suo arrivo. Sapeva ovviamente più o meno quando era il periodo giusto. Una mattina corse le scale e salì alla terrazza, andò subito a spiare dentro la finestra. Tutto il mobilio era coperto di teli trasparenti, che sembravano appena posti. Non c’era un filo di polvere.
Cos’era successo? Perché quei teli trasparenti? Scese le scale in fretta e uscì in strada. Lo trovò seduto sui gradini del suo ingresso. Disse con molta limpidezza che i suoi genitori erano morti, e che si stava decidendo a vedere la casa, che i mobili erano nuovi e che forse li vendeva assieme a tutto il resto.
Lei lo abbracciò, provava una solitudine profonda, e poteva percepire anche la sua.
Salirono insieme sulla terrazza e si accesero una sigaretta. Lei lo prese per mano, era un gesto netto faceva quando voleva rincuorare qualcuno. Guardando a terra disse che sarebbero usciti a camminare subito. Il sole e l’aria schiariscono i pensieri.
Uscirono di casa quasi correndo camminarono per la cittadina in lungo e in largo. Andarono da Cisco e comprarono un bel po’ di libri, lui sempre sorridente quando la vedeva, aveva offerto loro una birra dal suo frigo nel retrobottega.
Al tramonto si fermarono sulla spiaggia e decisero di andare a bere, di stare insieme il più possibile. Di sorreggersi. Chi avrebbe aspettato lei arrivare con la bella stagione? Si sentiva un grosso nodo in gola.
Dormirono insieme, come due bambini, mano nella mano e a pancia in su, sfiniti dalla giornata. Il grande letto di lei permetteva di nascondere gli imbarazzi dietro debita distanza.
Passarono così molti giorni, e lui ritornò poi alla sua città, lasciando lei senza più senso di attesa, vuota.
Ora nella grande casa a sinistra lei non è più sola, si veste sempre di colori tenui ma la sua pelle si accende quando vede lui che passa tra le stanze e viene ad accarezzarle i capelli mentre sta lavorando al computer.
Aspetta di nuovo il suo arrivo, e si ammanta della certezza che ora nei mesi caldi ritorna per lei.