Macellai
Una distesa bianca puntata di rosso
Terra malata, irritata
Disseminata d’eruzioni cutanee
Senza la possibilità di grattarsi.
Il terreno si muove
Le macchie rosse si mescolano
Cambiano posizione
Ma il risultato resta lo stesso.
È un gregge di pecore
Incastrate fra loro
Pezzi di un gioco da tavolo dai 3 ai 5 anni
Nel gelo di un Novembre che spezza le gambe
Gonfie di mangime
La lana che lascia scoperta solo la punta del muso
Le membra tumefatte, sfiancate
Si reggono in piedi solo sostenendo il peso di una
Con quello dell’altra.
Frutta matura pronta per essere spolpata
Frutta in procinto di diventare acerba.
Tumori in via di sviluppo
Escrescenze contro natura
Si celano dentro quell’ammassarsi di corpi
Corpi che schiacciano la maggior parte dei feti
Appena sgravati.
E le pecore avanzano una ad una
Sostituendo le vecchie con le nuove sopravvissute
All’ingresso di un’altra casa
Afferrate da braccia foderate da guanti di gomma
Prese a calci ed elettrificate per essere tosate
Appese a un gancio ancora agonizzanti
Sgozzate con una stoccata profonda appena sotto la mandibola
Sviscerate di fretta
Calate su di un nastro in movimento
E Spezzettate
E Tritate
E passate alla lavorazione della carne che rimane
Precedute da una scia di sangue e interiora
Che rimane impressa sul pavimento
Per poi essere lavata via
Sino a finire nei canali di scolo che portano al bacino idrico esterno
Esalando umori che anneriscono la campagna circostante
E il cielo che la ricopre.
Poi tocca a un’altra pecora
E a un’altra ancora
E così nella stanza a fianco e quella dopo ancora
Centinaia di pecore alla volta
Tutte tenute ferme sulla stessa linea
Da operai imbrattati di sangue e accecati
Dalla condensa del loro respiro che si propaga all’interno della tuta da lavoro
Operai assordati dalle urla degli animali
Animali che stanno massacrando
E che scalciano di terrore
Non certo pronti per farsi pestare
Paralizzare
Sgozzare
Essere ripartiti in parti più o meno uguali
E finire in confezioni di plastica sugli scaffali refrigerati
Di qualche catena di supermercati
Per essere acquistati, cucinati, masticati, digeriti e cagati
Verso fogne sotterranee che riporteranno i loro resti
A guastare il suolo e i campi da cui mangeranno nuovi animali
Infettandoli sin dal principio.
Visione periferica
Visione codarda
Vedi con le orecchie
Vedi con il naso
Cerchi di non farlo con l’occhio
Vuoi dimenticare
Ma è intorno a te.
Le urla sotto l’urto sordo delle manganellate contro le ossa sporgenti
L’odore delle ferite in suppurazione
Della carne putrescente
Il puzzo denso che sale dalle buche dove vengono gettate le feci
Lo sfregarsi di un mucchio di sporchi corpi pigiati l’uno sopra l’altro
Dentro recinti di filo spinato e fucile puntato
L’odore del corpo malato
Il rumore del piscio scrociante contro la terra friabile
L’odore dell’urina scura passata di bocca in bocca per non morire di sete.
Lo guardi con le orecchie il lamento della fame
Lo senti con il naso il masticare a bocca aperta il rancio informe dell’unico pranzo della giornata.
C’è chi ha pagato per essere lì
Sperando di fuggire prima degli altri
C’è chi vi è finito a forza, catturato mentre tentava la fuga
Così da allontanarsi per sempre dall’inferno in cui si è tramutato
Il luogo dove è nato.
Ma nessuno di loro pensava che ci potesse essere qualcosa di peggio
Nessuno pensava di dover consumarsi nell’attesa delle sevizie perpetrate
Da vecchi compagni di scuola
Da colleghi
Da parenti.
E nessuno di loro aveva mai visto il mare
E nessuno di loro poteva immaginare cosa sarebbe accaduto in mare
E nessuno di loro sapeva cosa sarebbe diventato se fosse riuscito a superare il mare
Né come l’avrebbero considerato una volta sopravvissuto al mare
Sempre che il mare avesse permesso loro di essere liberi.