Le quattro sono belle.
Certo, non ci sono le stelle perché in questa città le stelle non ci sono mai, ma in compenso c'è la Luna. Che sorride ai tetti rossi e ai mendicanti appisolati sulle panchine, agli studenti avvinazzati sulla via di casa e agli animi solinghi col cane al guinzaglio, che desiderano fare l'amore con la vicina di casa che incrociano tutte le notti alla stessa ora: anch'essa col cane, ballando il merengue per non restare impigliata al guinzaglio.
In auto ascoltiamo la radio, chiacchieriamo del più, poi passa una canzone che non ci piace e allora chiacchieriamo del meno e al semaforo restiamo in silenzio, in sintonia con la luce rossa che orchestra tutte le auto e la quiete di quest'ora. Sotto un portico c'è una troupe cinematografica, sta girando una scena in un'auto parcheggiata in strada e un ragazzo ci fa cenno di rallentare, per evitare che il rumore della nostra auto rientri nel microfono. Non avevo mai visto far cinema a quest'ora e trovo straordinario fingere la vita quando tutti dormono: per non parlare del fatto che a fingere la vita sia una coppia in auto, circondata da una troupe, mentre noi -in auto- passiamo e ascoltiamo la radio e siamo spettatori della finzione, con la Luna che se la ride sui tetti.
Imbocco la strada dell'aeroporto e contengo nel grembo un po' di nervosismo. Lo identifico come la paura di conoscere il finale, di averlo già figurato, che ha sapore di un commiato anticipato, o di un arrivederci eccessivamente prolungato.
E infatti l'uscio automatico dell'aeroporto la inghiotte e così se ne va, senza voltarsi a cercare lo sguardo e trascinando la valigia di plastica che caricherà sul nastro del check-in fra non molto. In fondo indugiare è la conseguenza di una piccola tempesta negli organi vitali dove il sentimento sta, dove il sentimento è. Lei su quell’uscio non indugia, o almeno non lo dà a vedere.
Io invece riaccendo l'auto e mi dileguo verso casa, verso le ore cinque del mattino, verso un giorno nuovo dell’agenda.
Prima però mi volto a guardare l'uscio dell'aeroporto e le quattro.
Le ore quattro del mattino, dico.
E quelle quattro sono belle e lo saranno sempre.
Buona.