Mi fai venire voglia di volermi bene
Devo aver mangiato pesante ieri sera. Ho fatto una serie di sogni assurdi, ma nel più pazzesco c’eri anche tu. Che poi ero io. Cioè ero io sdoppiata in te e c’era anche la me del passato.
Devo aver bevuto troppo ieri sera o non ho proprio digerito, perché il mio cervello ha mixato pezzi di ricordi con la componente onirica e mi sono svegliata di colpo tremando.
C’era la solita camera del solito albergo, c’eri tu e c’ero io. E già abbiamo capito che eravamo intenti a divertirci, però, ad una certa, io uscivo dal mio corpo, lo vedevo da fuori e galleggiavo sopra il letto e vedevo entrambi: tu che mi prendi il viso tra le mani “Dimmi che mi odi”.
Forse avrei dovuto valutare la citrosodina prima di andare a letto, forse avrei dovuto restare sveglia tutta notte; insomma, io me la gioco sempre tra incubi e insonnia, non se ne esce, la notte è il momento della verità. È il momento in cui non tengo più a freno corpo e pensieri. Evado. Scorro liquida e famelica. La notte faccio danni.
“Dimmi che mi odi” ma io sono fuori di me e so che sto sognando, infatti, dal juke box cerebrale parte “l’elastico” di Gaber, un brano che amavo già da piccolina: ‘Il mio corpo così lontano come fosse morto era abbandonato non c'era più l'elastico’. Poi torno dentro a un corpo, il tuo, e ti riconosco, riconosco la tua fisicità e le tue sensazioni, che non sono le mie. Dentro di te fa caldissimo, hai capelli leggeri leggeri che a sentirli in testa paiono seta e poi mi vedo coi tuoi occhi. Mai vista così bella. Mai vista così luminosa e raggiante, con la pelle di porcellana.
Che viaggio. Potrebbe bastare così, invece, no. No, mi prendi il viso tra le mani, ma ora siamo fuori dalla stanza, siamo al mare, io sono abbronzata, ho i capelli a caschetto e gli occhiali tondi, quelli con la montatura azzurra, ho dieci anni. Mi tieni il viso tra le mani e mi dici “promettimi che ti amerai, promettimi che ti vorrai bene” e io sono piccola, non capisco, non ti riconosco e mi fai paura. E sono contemporaneamente la me bambina e il te del presente. E mi osservo bambina attraverso i tuoi occhi e ti vedo adulto e sconosciuto con gli occhi di quando ero piccola.
Io ti vedo nel presente e mi vedo nel passato. È una visione unica e disgiunta.
E torniamo nella stanza d’albergo: sei ancora tra le mie braccia e quando ti guardo adesso vedo un bambino curioso, ma cresciuto in un mondo piatto, vedo uno che si dimena, ma che non riesce a fare il salto per liberarsi, vedo anche uno che si rassegna facilmente e che per riuscire ad addormentarsi accende la tv.
Quando ti guardo vedo il muso lungo di chi si lamenta e un secondo dopo regala sorrisi immensi, e lì in quei sorrisi, mi piace perdermi, perché sorridi anche con gli occhi e viene voglia di gettarsi in una qualche avventura. Comincio a piangere nel sonno pensando al tuo sorriso.
Quando ti guardo vedo anche tutte le volte che dici “è impossibile”, tutte le volte che rinunci per gli altri o per il lavoro e sento la rabbia e la frustrazione. E vedo l’amarezza quando non mi dici che siamo troppo diversi, ma lo pensi. E aggiungi che riusciamo a sognare solo a metà. E che i sogni sospesi non hanno senso, che questa vita non la possiamo cambiare da zero e così ti rassegni.
Io ti vedo.
È vero siamo diversi, veniamo da mondi diversi, abbiamo vite diverse.
Però a me non fai paura.
Però vedo chiaramente la tua, di paura, è un mostro immenso, è un’onda nera contro cui non posso nulla. Anche se ti facessi da scudo, il mio corpo non basterebbe ad arginarla e nemmeno i tuoi sorrisi. Nemmeno i tuoi sorrisi. Tremo, tremo, tremo forte.
“Dimmi che mi odi” e torno ad avere il viso tra le tue mani “ti odio” e mi sveglio così con un cerchio alla testa, mentre tremo forte.
Bicchiere d’acqua, aspirina, caffè, è lunedì.